Il bimbo che stava in un palmo di mano ora «costruisce» un mondo a colori

ROBERTO . È nato prematuro a 26 settimane. Le difficoltà dei genitori nel trovare specialisti che lo seguano.

Quando arrivo all’appartamento di Marco e Sara per l’intervista, loro figlio Roberto non c’è - è a scuola - ma in quella casa tutto parla di lui. L’angolo del salotto con i mattoncini Lego con cui gioca, i disegni su fogli in formato A3 sulla porta di casa, i magneti con le sue foto sul frigorifero, la dedica a Sara in occasione della Festa della mamma. Ma soprattutto, parlano di lui i suoi genitori, che in una chiacchierata fiume di quasi tre ore condensano gli 11 anni di vita di Roberto (i nomi sono di fantasia), ma anche i loro timori e la solitudine di una coppia che - come tante altre - fatica a trovare professionisti che la aiutino.

Una gravidanza difficile

Sara e Marco ricordano ogni minimo dettaglio di quella gravidanza tanto desiderata, ma che dopo soli due mesi inizia a presentare dei problemi. Sara non sta bene, eppure i medici la rassicurano: «Signora, è tutto a posto». Poi arriva il giorno di Pasqua, il pranzo in famiglia, i dolori alla pancia, la corsa al Pronto Soccorso. «Il bambino sta per nascere» è il verdetto di chi visita Sara, incredula alla notizia, perché è solo al sesto mese. Non essendoci disponibilità di posti nella nostra provincia, la struttura verso cui Sara viene indirizzata è l’ospedale di Lecco, con il suo reparto all’avanguardia di Neonatologia. Sara ci arriva in ambulanza, Marco la segue in auto con il piede premuto sull’acceleratore e mille pensieri per la testa. La nascita di Roberto riesce ad essere ritardata di una settimana, ma dopo 26 settimane e tre giorni Sara partorisce. La mamma nemmeno vede il bambino, perché viene immediatamente trasferito in terapia intensiva neonatale. E quando, qualche ora più tardi, permettono a lei e a Marco di guardarlo da dietro un vetro, non è preparata a tutti quei tubicini che collegano Roberto ai vari macchinari che lo tengono in vita e ha un mancamento.

L’ospedale diventa una seconda casa: «Per le mamme c’è la possibilità di fermarsi a dormire e mentre lui (indica Marco, ndr) faceva avanti e indietro da Bergamo, io ero sempre lì». Lì a condividere gioie e dolori con le altre madri, perché le complicazioni per i bimbi nati prematuri possono essere anche molto gravi. Contrarre un virus o un batterio può fare la differenza tra la vita e la morte, ecco perché l’orsetto di peluche è rimasto chiuso nel cellophane per così tanto tempo.

Roberto si è imbattuto in quel pupazzo di recente, lo ha scovato in una scatola dentro l’armadio, tra altri mille giocattoli. E Marco, nel vederlo, gli ha chiesto se conoscesse la storia legata a quel peluche. «No, papà». «Questo orsetto ti è stato regalato da una signora che è venuta apposta dalla Germania per farti dono di una macchina che, appena nato, ti aiutava a respirare». Roberto sgrana gli occhi di un colore bellissimo e ascolta il racconto del padre quasi fosse una fiaba. Il piccolo neonato - non pesa nemmeno un chilo - ha frequenti apnee e l’ospedale ordina un apparecchio in grado di regolare il flusso di ossigeno, in modo che si adatti ai bisogni di Roberto. Una storia che agli occhi di un bambino sembra un’avventura, ma non bisogna confondere i piani, perché per i genitori situazioni come queste rappresentano un dramma.

«Mi sentivo impotente di fronte a tutto quello che succedeva a Roberto», dice Marco. La vita fuori dall’ospedale nel frattempo scorre e Marco si barcamena tra il lavoro e le visite quotidiane a Roberto e Sara. «In azienda sono stati molto comprensivi sugli orari: a metà pomeriggio staccavo e andavo a Lecco». Dopo un mese e mezzo, il bambino viene tolto dall’incubatrice e i contatti con mamma e papà iniziano ad essere più frequenti. «Roberto stava nel palmo di una mano», dice Marco. Dal suo smartphone seleziona le foto di lui e Sara impegnati nella marsupio terapia, una tecnica particolarmente indicata per i bambini nati prematuri, ma non solo. Dalla maglietta color verde di Marco si vede spuntare la testa di Roberto: il neonato viene adagiato sul petto del genitore e girato in modo che un orecchio poggi sul cuore. Oltre a rafforzare il legame genitore-figlio, la marsupio terapia porta dei benefici psicofisici al piccolo.

La festa ogni 17 novembre

Il bambino lascia l’ospedale dopo 97 giorni e ci torna ogni 17 novembre per la «Giornata mondiale della prematurità», quando la struttura organizza una festa per genitori e figli che sono transitati da lì. «Gli infermieri si ricordano ancora i nostri nomi e ritroviamo tante coppie che abbiamo conosciuto durante il ricovero di Roberto», spiega Marco.

Una volta a casa, le cose non sono semplici da gestire: «Avevamo sempre paura che potesse capitargli qualcosa e che non fossimo attrezzati per intervenire - ricorda Sara -. Dall’ospedale di Lecco i medici che lo avevano seguito ci chiamavano quasi tutti i giorni». I suoi genitori fanno di tutto per fargli condurre una vita il più possibile normale: da qui la scelta di iscriverlo all’asilo nido. Ma non trascorre molto tempo che Roberto contrae la bronchiolite e viene ricoverato di nuovo in ospedale, questa volta a Bergamo. E anche dopo le dimissioni si ammala con una certa frequenza, almeno fino ai due anni. Poi, piano piano, si rafforza.

La prima pastasciutta

Al bambino vengono affiancati degli specialisti, tra cui un logopedista e un fisiatra. «Quando aveva cinque anni la sua maestra mi ha inviato la foto di Roberto mentre mangiava la pasta. Per lui era la prima volta», afferma Sara. Già, perché il bimbo viene svezzato a quattro anni e mezzo. «Fino ad allora gli davo solo pappe, perché, avendo tenuto a lungo il sondino, non riusciva a masticare cibi solidi.

Adesso, invece, anche se è magro, mangia moltissimo e di tutto. Non ama particolarmente la carne, a parte l’hamburger, ma solo se glielo preparo nel panino».

La fabbrica e la famiglia

Anche Sara lavora («Oggi servono due stipendi per vivere»), otto ore al giorno, cinque giorni su sette, e una volta a casa non le manca l’iniziativa per aiutare il figlio con i compiti. «Adora l’inglese, va bene in matematica, mentre in storia e geografia ha qualche difficoltà. Allora io gli organizzo un teatrino con personaggi che recitano le lezioni e lui si appassiona».

Quando arriva il Covid, Marco trascorre i primi giorni di lockdown in taverna, perché si è infettato in modo lieve. Non poter stare vicino a Roberto e Sara ed essere bombardato dalle immagini delle terapie intensive che scorrono sullo schermo della Tv 24 ore su 24 lo riporta al periodo in cui il figlio appena nato era ricoverato all’ospedale di Lecco: continui flashback che gli fanno rivivere le ansie e le preoccupazioni di quei momenti. «Sono andato in crisi».

Anche su Roberto l’emergenza sanitaria fa sentire i suoi effetti a livello psicologico. «Parte dei progressi che aveva fatto, con il Covid sono svaniti», sottolinea Sara. E non ha certo aiutato il fatto che le terapie che seguiva siano state sospese e mai più riprese. Ora, dopo varie traversìe, la coppia è riuscita a trovare un centro specialistico privato che supporti la crescita del bambino. Perché Roberto, oggi, dal punto di vista fisico è sano. È la sua sfera emotiva che necessita di essere seguita.

Il Big Ben arcobaleno

La fantasia non gli manca. Adora giocare con i mattoncini Lego e costruire edifici e torri, ispirandosi alle opere che più gli piacciono, come il Big Ben di Londra, che Roberto ha rivisitato in una versione tutta colorata. Possiede qualcosa come mille pezzi con cui ha realizzato anche un campo da calcio con i giocatori vestiti con i colori dell’Atalanta. Alcune volte si affida al libretto di montaggio, altre prende ispirazione dai video amatoriali caricati su YouTube, altre ancora si affida unicamente alla sua creatività. Le sue mani presto potrebbero scorrere sui tasti di un pianoforte: «La musica gli è d’aiuto - racconta Marco -: ha già una tastiera e stiamo pensando di insegnargli a suonare il piano». La regia è sempre dei suoi genitori, che assecondano le sue passioni, ma valutano anche quali possono essere le attività che più servono al bambino per esprimersi al meglio.

Quando un familiare, in questo caso un figlio, ha bisogno di aiuto, accade di sentirsi soli e a volte, come traspare dal racconto di Marco e Sara, manca anche l’umanità da parte di chi è incaricato di occuparsi di questi casi. La famiglia, al momento, non può contare sull’aiuto dei nonni e così le assenze di Marco e Sara, per motivi di lavoro, sono tamponate dalla baby sitter. È Sara che normalmente rincasa per prima e si ritrova a gestire il bambino dopo una giornata in fabbrica. Sa perfettamente che l’equilibrio è fondamentale anche per lei, per non cedere alla stanchezza mentale e fisica e offrire a Roberto il meglio che una madre può dare a un figlio.

Perché anche se a volte indossiamo la maglietta con la «Esse» di Superman stampata, non significa che riusciamo a comportarci da eroi tutti i giorni.

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