«Non lascio che il Parkinson mi definisca. Sono grata e nell’arte trovo nuove strade»

LA STORIA. Giovanna Piccinini: «Ho imparato a osservare le cose con l’attenzione che meritano e a dare valore a ciò che conta».

I cocci di un vaso, raccolti e disposti in fila su un cavalletto, sembrano comporre un paesaggio nell’opera «Ovvio», qualcosa di molto diverso dalla loro origine: trovano un nuovo equilibrio «tra il dentro e il fuori». È questa la tensione da cui nasce l’arte di Giovanna Piccinini, oltre la malattia di Parkinson che da sei anni è ospite scomoda delle sue giornate.

«Dopo il diploma mi sono iscritta all’Istituto Europeo di Design a Milano, poi ho iniziato a lavorare nel mondo della moda»

Giovanna lo racconta con la calma di chi ha attraversato l’oscurità e ha imparato a inseguire la luce, custodendo nel cuore la speranza. La sua voce è paziente: sembra il passo sicuro di chi ha scelto di non correre, di abitare ogni momento. È una donna che conosce il peso delle prove, ma anche la leggerezza che nasce quando si smette di combattere contro di esse e si impara a danzare con loro. «Il dolore c’è — dice — ma se smetti di opporgli resistenza diventa meno aspro».

Tra arte e volontariato

La sostengono le sue passioni, l’arte, il volontariato con l’associazione ParkinsOn Move, il desiderio di essere vicina e utile ad altri. Nel suo percorso la creazione artistica è un imprevisto, un desiderio nato già da bambina, ma realizzato solo più in là. «I miei genitori hanno insistito perché studiassi ragioneria – sorride – sembrava loro più concreto. Ma la mia inclinazione per l’arte e la creatività erano più forti, perciò dopo il diploma mi sono iscritta all’Istituto Europeo di Design a Milano, poi ho iniziato a lavorare nel mondo della moda», in un ambiente che le permetteva almeno di respirare creatività, di immergersi nei tessuti, nei colori, nelle linee.

La maternità

Poi, con la maternità, è arrivato un periodo intenso e impegnativo che l’ha portata a rallentare e a cambiare priorità. Ha scelto di dedicarsi interamente a Lucrezia, la figlia, e di accompagnarla nei suoi primi anni di vita: «Volevo esserci, fino in fondo. Sapevo che l’arte poteva aspettare, ma lei no».

Un nuovo desiderio

Quando Lucrezia è cresciuta, il desiderio rimasto in sospeso è tornato a bussare alla porta di Giovanna. Lei, con grande coraggio, ha deciso di rimettersi in gioco e di realizzare finalmente il suo sogno: si è iscritta all’Accademia Carrara come uditrice, frequentando per diversi anni. Da lì sono iniziate le prime mostre, i concorsi, i riconoscimenti. Le sue opere non nascevano per compiacere, ma per interrogare. Concettuali, dense di rimandi, parlavano di fragilità e trasformazioni. In una di esse, «Ovvio», ha recuperato i cocci di un vaso e li ha ricomposti in un’opera nuova, più forte. «Le fratture – dice – non cancellano la bellezza». E forse già intuiva che quelle crepe sarebbero diventate la metafora più fedele della sua vita.

Sintomi e diagnosi

La prima prova è arrivata con un tumore al seno, fortunatamente individuato in modo precoce. Ha subito un intervento, poi un altro. Sempre con una grande capacità di reagire e di riprendersi. «L’ho saputo solo molto tempo dopo – commenta la figlia –, i miei genitori a me hanno sempre parlato di un “nodulo” forse perché la ritenevano una parola meno spaventosa per una bambina». Alcuni anni dopo sono comparsi i primi tremori alla mano e poi la diagnosi di malattia di Parkinson. Giovanna aveva 53 anni:«All’inizio non volevo accettarlo. Non volevo nemmeno assumere i farmaci. Poi ho capito che non potevo continuare a vivere in quel modo. Così ho detto: caro Mr Parkinson, io sto qui e tu stai lì, vediamo chi vince».

Un compagno scomodo

Non c’era una sfida rabbiosa in quelle parole, piuttosto una dichiarazione di convivenza. Il Parkinson non era una condanna, ma un compagno indesiderato con cui bisognava trovare un equilibrio. «Ho scelto di non lasciarmi definire dalla malattia, ma di cercare nuove strade. E le ho trovate innanzitutto nell’arte», nei progetti che continuavano a nascere, nelle idee che non smettevano di affacciarsi. Ma anche nella natura. Durante un viaggio in montagna ha scoperto una disciplina nuova, il forest bathing, l’immersione consapevole nel bosco. «Lì, in mezzo agli alberi – racconta – ho imparato a respirare e a meravigliarmi di nuovo. La natura non giudica, non chiede nulla: accoglie. Camminare tra gli alberi è diventato un modo per ritrovare me stessa».

«Ha cambiato il mio modo di pormi facendomi scoprire cose che prima mi sarebbero sfuggite»

Ci sono giorni in cui i movimenti diventano incerti. Altri in cui la fatica la costringe a fermarsi. Ma Giovanna ha imparato a riconoscere anche in questi momenti un’occasione di ascolto. «Il Parkinson mi ha portato a osservare le cose con l’attenzione che meritano, ha cambiato il mio modo di pormi facendomi scoprire cose che prima mi sarebbero sfuggite: il canto di un uccello, la luce che filtra tra le foglie, il sorriso di una persona cara». La malattia, in un certo senso, le ha insegnato a stare nel presente, a prestare attenzione al mondo che la circonda, a dare più peso e spazio alle relazioni.

«Ho imparato a essere grata»

Paradossalmente, Giovanna oggi dice di vivere uno dei periodi più belli della sua vita. «Ho imparato a dare valore a ciò che conta. E soprattutto ho imparato a essere grata. Ogni giorno trovo un motivo per ringraziare». È un’affermazione che sorprende: come si può dire questo mentre si convive con una malattia? Ma la sua voce non lascia dubbi. Serenità e coraggio in lei non nascono dall’assenza di dolore, ma dal modo in cui lo guarda e lo affronta.

L’associazione ParkinsOn Move

Un incontro decisivo è stato quello con l’associazione ParkinsOn Move. C’è arrivata quasi per caso, dopo aver partecipato alla presentazione del libro «A spasso con Mr Parkinson», una raccolta di storie di vita a cura di Silvia Giudici e Valeria Bastoncelli, promossa dall’associazione. «Lì ho trovato una famiglia. Nessuno si stupisce dei gesti, dei tremori, delle fragilità. Ci si riconosce, ci si sostiene. Ho stretto amicizie profonde e autentiche, nate proprio dentro la malattia». Quel senso di comunità, di condivisione, è stato un nuovo punto di svolta.

Avventura al femminile

Da lì è nata anche un’altra avventura, tutta al femminile. Un giorno una donna le confidò di essere stata ferita da una battuta del marito, secondo il quale «ormai non poteva più indossare i tacchi, anzi, era meglio buttarli via»: ma per lei quel dettaglio, apparentemente di poco conto, significava perdere una parte della propria femminilità.

Spazio per raccontarsi

Giovanna ha capito quindi che c’era una necessità speciale che ben si armonizzava con le altre attività di ParkinsOn Move: dare alle donne con Parkinson uno spazio per raccontarsi senza imbarazzo. È nato così il gruppo «Io parlo, io ascolto». Un cerchio in cui si condividono paure, desideri, preoccupazioni, piccoli gesti di ogni giorno. «Una volta una partecipante mi ha detto: tu hai un dono, trasmetti serenità e fiducia. È stata la conferma che ero sulla strada giusta».

«Conto molto sulla ricerca, e seguo i nuovi studi con attenzione, perché sono certa che in futuro questo cambierà»

Le riunioni del gruppo non sono mai uguali. «A volte si ride, a volte si piange. Ci si scambia consigli pratici, trucchi per affrontare le difficoltà di ogni giorno», ma soprattutto si condivide l’esperienza più difficile: quella di sentirsi cambiate, nel corpo e nello sguardo degli altri. Gli incontri, che radunano donne di tutta Italia, si svolgono online, informazioni sul sito www.parkinsonmove.org.

I progetti crescono

«Una donna con il Parkinson deve spesso lottare due volte: contro la malattia e contro l’idea che gli altri hanno di lei. Ma la malattia non deve diventare un confine, ma un punto di partenza per reinventarsi». Parlare diventa allora un atto di resistenza e di cura reciproca. I progetti crescono e continuano a moltiplicarsi. Giovanna sogna in futuro di presentare un progetto artistico con le donne di «Io parlo, io ascolto». Sta anche studiando per diventare guida di forest bathing, così da poter accompagnare altre persone in quella stessa esperienza di rinascita tra gli alberi che tanto l’ha aiutata.

Fiorire anche negli uragani

Accanto a lei, la figlia e il marito continuano a essere una presenza importante. «Mi ricordano che non sono solo una donna con il Parkinson, ma una madre, un’artista, una persona intera». Nei giorni più difficili bastano un messaggio o una passeggiata insieme per restituirle energia. La malattia non ha cancellato i legami familiari e le amicizie del passato, anzi, le ha rese più consapevoli, più preziose.

«Conto molto sulla ricerca»

Il filo che unisce tutto è la resilienza, parola che spesso suona abusata, ma che nella sua storia torna a significare esattamente ciò che è: la capacità di piegarsi senza spezzarsi, di fiorire anche dopo mille uragani. Giovanna non minimizza le difficoltà, sa che il Parkinson porta con sé fatica, dolore, incertezza: «Da quando mi sono decisa a iniziare le terapie i sintomi sono sotto controllo, e la convivenza con Mr Parkinson è diventata più amichevole, anche se purtroppo per il momento so che non esiste la possibilità di guarire. Conto molto sulla ricerca, e seguo i nuovi studi con attenzione, perché sono certa che in futuro questo cambierà». Ha scelto di non lasciare che sia solo la malattia a definire i suoi giorni. «Non è una condanna – ripete –. Si può convivere, affrontare con serenità e coraggio. E in un certo senso, diventa un maestro di vita».

Alla fine, il suo percorso trova una forma nell’immagine di quel vaso rotto e ricomposto in un diverso panorama, che un tempo aveva realizzato nell’opera «Ovvio». Nel suo portfolio cita una frase di Edouard de Goncourt: «Di tutte le arti quella di saper vedere è la più difficile», ed è così, osservando che Giovanna trova la forza nascosta in sé e nelle cose. Le crepe non si cancellano, ma diventano linee di forza, luoghi in cui la luce può filtrare. Così è la sua vita: una trama di ferite e rinascite, di dolore e bellezza. Un invito silenzioso, per chiunque attraversi momenti difficili, a credere che anche nelle fragilità possa nascere qualcosa di luminoso.

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