Un dolore fisso come compagno di vita. «Ma ho resistito. Prima la gioia di vivere»

La Buona Domenica Ingrid Alberti, 50 anni, racconta l’esperienza terribile con l’endometriosi e la rinascita grazie al volontariato.

Il dolore cambia il modo in cui consideriamo la realtà e noi stessi. Come scrive Jonathan Safran Foer «è una parola che definisce il nostro sguardo ancor più di ciò che stiamo contemplando». Lo ha imparato fin da ragazzina Ingrid Alberti, 50 anni, originaria di Valbondione: «Ho scoperto di soffrire di endometriosi intorno ai 19 anni, ma già quando ne avevo 14 soffrivo di fortissimi dolori, che penalizzavano in modo grave le mie attività e la mia vita». Il percorso per la diagnosi e soprattutto per accettare la patologia è stato impervio: ma quella malattia oscura e insidiosa non ha spento il suo sorriso. Il volontariato con l’Associazione Progetto Endometriosi le ha offerto una preziosa possibilità di rinascita.

La difficoltà della diagnosi

«Nessuno dei medici che avevo consultato all’inizio - racconta - si era preoccupato di chiarire l’origine dei gravi malesseri di cui soffrivo, apparentemente legati solo al ciclo mestruale. Dicevano che erano normali. Non era solo una questione medica, ma culturale». L’endometriosi è un’infiammazione cronica in cui le cellule endometriali, di solito presenti solo all’interno dell’utero, si ritrovano anche all’esterno. Una condizione ancora difficile da diagnosticare e da trattare. Ma il dolore è un sintomo rivelatore, è un messaggio del corpo. «Pochi anni dopo ho incontrato una ginecologa che stava preparando la tesi di specializzazione proprio sull’endometriosi, ed è stata lei la prima a ipotizzare che potessi soffrirne. In quegli anni, però, si trattava ancora di un male poco conosciuto, potevamo solo cercare di tenerlo sotto controllo. Da allora, purtroppo, c’è stata un’escalation dei sintomi e soprattutto del dolore».

Questo disagio profondo, acuto, persistente era come un rumore dissonante di sottofondo, che con la sua presenza dettava il ritmo delle giornate di Ingrid: «Era una compagnia costante, e non più limitata a brevi periodi. Mi ha tolto la possibilità di coltivare le mie passioni, di praticare attività sportiva agonistica. Sciavo, ma ho dovuto smettere, e lo stesso è successo con la danza e con l’equitazione. Ho dovuto rallentare, a volte era complicato anche studiare. Nel mio caso l’endometriosi ha lavorato in modo molto profondo». A 17 anni ha subito un intervento di appendicectomia: «In realtà probabilmente era già endometriosi, ma mi è stato spiegato solo in seguito, dopo un lungo calvario di operazioni».

«Devi sopportare»

Ad accompagnarla durante l’adolescenza e la giovinezza c’era sempre questo dolore invisibile, fastidioso e pesante come una catena, che gli specialisti le chiedevano, a ogni visita, di sopportare. «È un’esperienza comune a molte donne malate di endometriosi, anche a causa della difficoltà di arrivare in tempi brevi a una diagnosi precisa - sottolinea Ingrid -. I medici dicono che è “solo” dolore, e prescrivono analgesici. Questa condizione ha influenzato in modo significativo la mia vita, imponendomi tante limitazioni. Sono tenace e nonostante questo ho sempre cercato di affrontare la situazione apertamente, senza precludermi nulla, lasciando prevalere la mia gioia di vivere». Ingrid aveva 24 anni quando ha incontrato finalmente uno specialista che le ha parlato in modo più chiaro dell’endometriosi: «Mi ha detto purtroppo che l’unico strumento a disposizione per contrastare la malattia a quel punto era un intervento chirurgico».

Il suo corpo, abituato a difendersi, si è ribellato anche alle terapie: «Nonostante i farmaci le mie condizioni sono peggiorate. A 27 anni sono stata operata per la prima volta, intanto le ricerche sono andate avanti. Hanno accertato che la mia endometriosi era al quarto stadio ed era penetrante. Dalla laparoscopia prevista inizialmente i chirurghi sono dovuti passare così a una più invasiva laparotomia per verificare in quale stato fosse ogni singolo organo, se fosse stato intaccato oppure no. È iniziato così un periodo molto difficile per me. Sono riemersa dal ciclo degli interventi chirurgici soltanto 13 anni dopo, a quarant’anni, e nel frattempo non ricordo più quante volte sono entrata e uscita dall’ospedale».

«Ho imparato a non identificarmi con la patologia di cui soffro, a preoccuparmi prima di tutto di me, della mia vita, che era fatta d’altro rispetto all’endometriosi»

Ingrid nel frattempo ha dovuto imparare a convivere con il dolore: «Ho scoperto di avere una soglia di sopportazione elevatissima. Per anni sono andata avanti assumendo antidolorifici ogni giorno, ma senza mai arrendermi. Ho imparato a non identificarmi con la patologia di cui soffro, a preoccuparmi prima di tutto di me, della mia vita, che era fatta d’altro rispetto all’endometriosi. Ce l’ho messa tutta per superarla, almeno dal punto di vista psicologico».

La laurea in giurisprudenza

Ha resistito, si è laureata in giurisprudenza come desiderava: «Subito dopo ho trovato lavoro in una grande azienda. A differenza di molte altre donne nelle mie stesse condizioni ho trovato un ottimo supporto in ambito professionale. Ho sempre potuto contare su persone che hanno compreso le mie difficoltà. Quando ho avuto bisogno di assentarmi perché stavo male non ho subito pressioni, non sono mai stata obbligata a cambiare mansione. Anche questo mi è stato di grande aiuto. Ho evitato di piangermi addosso, mi sono sforzata di guardare oltre».

Non ha avuto figli: «Ci ho pensato a lungo, in un certo momento avrei voluto. La mia riserva ovarica era diminuita terribilmente a causa della patologia. Ho valutato altre strade, come la fecondazione assistita e l’adozione. Poi però ho riflettuto a lungo anche sulla mia situazione personale, sulle problematiche generate dagli interventi, sui lunghi periodi trascorsi in ospedale, sul dolore e la mancanza di energie. Ho messo tutto sul piatto della bilancia, ho pensato che con i miei problemi di salute sarebbe stato poi difficile occuparmi in modo adeguato di un bambino». Il prezzo da pagare, per Ingrid, continua ad essere molto alto: «A causa delle terapie eseguite prima e dopo gli interventi ho sviluppato come effetto collaterale altre patologie che ora devo curare, tra esse per esempio l’osteoporosi».

««Sono arrivata a ringraziare questa malattia perché mi ha permesso di conoscere meglio me stessa, di imparare a rispettare il mio corpo e a riconoscere i segnali che mi manda. Mi ha fatto incontrare persone speciali sulla mia strada»

Durante il cammino è riuscita a cambiare prospettiva: «Sono arrivata a ringraziare questa malattia perché mi ha permesso di conoscere meglio me stessa, di imparare a rispettare il mio corpo e a riconoscere i segnali che mi manda. Mi ha fatto incontrare persone speciali sulla mia strada».Fra esse ricoprono un ruolo importante le volontarie dell’Ape, Associazione Progetto Endometriosi: «Le ho incontrate per la prima volta nel 2006. In quel periodo stavo cercando qualche riferimento per approfondire, e mi sono messa in contatto con loro su internet. Per una singolare coincidenza fra le prime che ho incontrato c’era una ragazza con cui ero cresciuta nel mio paese, Valbondione. Un segno del destino, ho trovato subito un volto familiare. Così sono entrata a far parte di questo gruppo e poco dopo ho iniziato anch’io a impegnarmi nelle attività di volontariato. È nato un rapporto profondo di condivisione e di amicizia. Abbiamo compiuto insieme piccoli passi, impegnandoci nella sensibilizzazione e nell’informazione. L’endometriosi è una malattia che non si vede, la conosce davvero solo chi, come noi, ne sperimenta le conseguenze. L’Ape mi ha permesso di condividerla, di instaurare un confronto continuo, di capire come reagissero altre donne e altre famiglie. Una conquista enorme. Sono stata felice di poter offrire informazioni utili e di impegnarmi per divulgarle il più possibile per aiutare altre donne ad affrontare la malattia con maggiore consapevolezza e meno paura».

«Attraverso l’associazione ho imparato a migliorare la mia alimentazione, un aspetto molto importante per tenere sotto controllo l’endometriosi»

L’associazione organizza incontri periodici e congressi medici: «Durante questi incontri approfondiamo alcuni aspetti della patologia e ci aggiorniamo sulle ultime conquiste della ricerca. Così ho scoperto, per esempio, che è molto comune arrivare alla diagnosi dopo un percorso impegnativo, che dura in media una decina d’anni. Molte donne con l’endometriosi si sentono sole e non comprese, per questo è così preziosa l’associazione, luogo d’incontro e di condivisione. Le donne faticano a parlare di questi problemi, legati a una dimensione intima e sensibile. Parecchie, come me, non riescono ad avere figli, anche se nel frattempo la ricerca va avanti e individua nuove soluzioni. Negli anni proprio grazie all’azione dell’associazione si è diffusa una maggiore conoscenza dell’endometriosi. Di pari passo sono stati aperti centri specializzati per le terapie». Grazie all’Ape Ingrid è tornata a praticare sport: «Ho sperimentato l’arrampicata, e mi diverto con trekking, nuoto, piscina, bicicletta. Solo la pandemia è stata capace di fermarmi, almeno temporaneamente. Evito sport di contatto troppo intensi, che potrebbero crearmi difficoltà. Attraverso l’associazione ho imparato a migliorare la mia alimentazione, un aspetto molto importante per tenere sotto controllo l’endometriosi».

L’impegno nell’associazione

L’impegno per aiutare altre donne malate come lei ha dato un senso nuovo al dolore di Ingrid: «Il volontariato per me rappresenta una rinascita. Mi ha permesso di confrontarmi con altri che soffrono della stessa patologia, e questo mi ha aiutato ad accettare la mia condizione, ad affrontarla in modo diverso. Ho pianto, mi sono disperata e arrabbiata. Sono tutte fasi che bisogna attraversare. Quando ci sono riuscita, però, ho ripreso a vivere la mia vita. Ho imparato a osservarmi da un punto di vista esterno, scoprendo nuovi aspetti del mio carattere e nuove qualità da far emergere. Ora vivo a Trezzo d’Adda, ma mi è capitato che alcune giovani di Valbondione, conoscendomi, si siano messe in contatto con me per ottenere informazioni e sono stata davvero felice di poterle aiutare. Quando incontro donne e mamme che si rivolgono ai nostri punti informativi raccomando sempre la massima attenzione: un dolore intenso durante il ciclo mestruale è un segnale da non trascurare». Per informazioni www.apendometriosi.it.

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