«Occhio» allo stress,
incide sulla vista

Segnale da non trascurare una sorta di annebbiamento visivo che, di solito, interessa un occhio solo.

Lo stress fa male anche ai nostri occhi. Infatti, tra le cause che possono essere alla base di patologie oculari ci sono anche condizioni di stress psicofisico che possono incidere sulla qualità della nostra vista. Il buono è che, di solito, si tratta di patologie che si risolvono spontaneamente ma, in una seppur bassa percentuale di casi pari a circa il 10%, possono trasformarsi in forme croniche in grado di produrre danni funzionali. Ne parliamo con il professor Mario Romano, direttore dell’Oculistica di Humanitas Castelli.

Professor Romano, in che modo lo stress incide sulla salute dell’occhio?

«Lo stress è molto pericoloso perché contribuisce a generare una sovrapproduzione dell’ormone cortisolo, a cui alcune persone sono particolarmente sensibili, che porta a una congestione e a un aumento di permeabilità dei vasi della coroide con conseguente accumulo di liquido sieroso e sollevamento della zona centrale della retina, la macula. Una situazione che viene definita “corioretinopatia sierosa centrale”, patologia che colpisce soprattutto gli uomini tra i 30 e i 50 anni».

Quali sono i segnali che ci avvisano che qualcosa non sta funzionando?

«Il primo sintomo è un annebbiamento visivo che, di solito, interessa un solo occhio. Può essere associata la metamorfopsia per cui si cominciano a vedere le immagini distorte, soprattutto per quanto riguarda le linee verticali. Talora si può avere l’impressione di vedere tutto come se si guardasse attraverso una goccia d’acqua».

Che cosa si può fare in questo caso, dal punto di vista della diagnosi e della cura?

«Il primo passo è sottoporsi il più velocemente possibile a una visita oculistica, a cui possono seguire esami strumentali non invasivi come la tomografia a radiazione coerente (OCT) che rileva dati strutturali e angiografici o, nei casi in cui vi sia il dubbio di complicanze, l’angiografia con mezzo di contrasto in grado di fornire immagini precise della componente vascolare. L’esame OTC risulta di fondamentale importanza perché permette di registrare i biomarkes ad un tempo base, per fare confronti nei successici follow-up, e stabilire se si sta andando verso una cronicizzazione della corioretinopatia. L’obiettivo è cercare di evitare che la patologia da acuta si trasformi in cronica. Le forme acute, nella maggior parte dei casi, si risolvono spontaneamente e possiamo limitarci a tenerle sotto controllo anche senza utilizzare farmaci o trattamenti particolarmente invasivi. Oggi per affrontare situazioni di questo tipo ci si avvale anche dell’aiuto della nutraceutica, la medicina nutrizionale che studia i principi attivi degli alimenti che producono effetti pleiotropici sul nostro organismo e aiutano a prevenire e a trattare molte malattie».

Quando il problema diviene cronico, invece, come si interviene?

«Se il problema diventa cronico bisogna ricorrere a un trattamento invasivo effettuato con l’utilizzo di un laser micropulsato o alla fotodinamica che riducono la congestione vasale e, quindi, la permeabilità alla base dell’accumulo di fluido. Si tratta però di un intervento che se da una parte è in grado di attenuare il problema, dall’altra non sempre è del tutto risolutivo perché, in presenza di una cronicizzazione, è difficile ottenere un recupero funzionale completo della retina. Per questo è molto importante rendere partecipe il paziente del carico di stress che contribuisce alla patologia».

Quale consiglio si sente di dare alle persone che scoprono di soffrire di problemi alla vista causati da stress?

«Fin dal primo incontro con il paziente, noi oculisti cerchiamo di spiegare loro che una vita troppo frenetica può avere influssi negativi sulla qualità della vista. Il consiglio è cercare di modificare il proprio stile di vita ed eliminare, per quanto possibile, le situazioni che possano provocare tensione e stress».

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