Scompenso cardiaco, parte la prevenzione: in Bergamasca mille pazienti

IL PROGETTO. Al via uno studio epidemiologico unico in Italia. Sarà condotto al «Papa Giovanni» col sostegno di Anthem e il supporto dei medici di base. Aperto a residenti in città, Val Brembana e Val Imagna.

«Contro l’insufficienza cardiaca ci si è sempre mossi nell’ambito della terapia. Ora, per la prima volta a livello mondiale, si farà prevenzione. È il coronamento di tanti anni di ricerca del nostro dipartimento». Nelle parole di Michele Senni, capo del dipartimento cardiovascolare dell’Asst Papa Giovanni XXIII e docente alla Bicocca, c’è tutta l’eccezionalità di un progetto appena entrato nella fase operativa. Illustrato venerdì 13 giugno all’ospedale, si chiama «Brimberg», acronimo di Val Brembana, Valle Imagna e Bergamo, ed è uno studio epidemiologico senza precedenti. O, meglio, con un solo precedente simile, entrato nei libri di storia della cardiologia moderna: quello svolto dalle autorità sanitarie statunitensi, a partire dal 1947-48, sulla popolazione della città di Framingham, Massachusetts.

Uno studio innovativo

«Brimberg» è più ristretto rispetto all’esempio americano, si occuperà «solo» dell’insufficienza cardiaca dovuta alla disfunzione ventricolare sinistra, quella che impedisce il corretto pompaggio del sangue. Ma è stato comunque presentato come uno studio non meno innovativo: coinvolgerà mille pazienti tra i 50 e gli 80 anni, che siano residenti in uno dei 66 Comuni dei tre territori bergamaschi, che presentino, in base alla fascia d’età, uno o più fattori di rischio cardiovascolare (ipertensione arteriosa, dislipidemia, diabete, obesità, fumo) e non abbiano avuto una diagnosi pregressa di insufficienza cardiaca, altrimenti chiamata «scompenso».

«Entro il 2026 vogliamo ottenere una “fotografia” dei pazienti. E poi continuare a seguirli negli anni».

L’incidenza della malattia

Lo scopo, ambizioso, è individuare gli asintomatici (hanno la disfunzione pur non presentando ancora fiato corto, né stanchezza, né gonfiore alle gambe) o coloro ai quali l’insufficienza cardiaca non è stata diagnosticata, e arrivare a una diagnosi precoce di massa per una patologia spesso sottostimata ma davvero seria. Per dare un’idea, ha ammonito Senni, «investigator» del progetto assieme a Sergio Caravita di UniBg, «tutti i tumori, salvo quelli al polmone e al pancreas, garantiscono una sopravvivenza maggiore. A livello mondiale si può parlare ormai di pandemia». La «curva di prevalenza» dello scompenso cardiaco nella popolazione sopra i 65 anni di età, ossia il numero di persone che ne sono affette, «sta crescendo in modo esponenziale ed è arrivata al 5% a causa dell’invecchiamento della popolazione e dei progressi delle terapie cardiovascolari che ne ritardano la comparsa - ha continuato Senni -. Nel 2010 si trattava, per l’Italia, di 600mila persone, diciamo l’equivalente della città di Genova. Nel 2040 si arriverà a 900mila. Ovvero l’equivalente di Torino. Oggi, a Bergamo, parliamo di 12mila persone».

Cinquanta medici di base sono impegnati in prima linea nel reclutamentodei mille soggetti da coinvolgere nel monitoraggio

Dal punto di vista epidemiologico e della scelta dei territori di riferimento, ha concluso Senni, «le aree metropolitane non vanno bene perché contraddistinte da grande mobilità al loro interno. L’idea è di comparare due tipologie di vita (l’inquinamento atmosferico o acustico può giocare un ruolo importante tra i fattori di rischio), quindi avere due tipologie di pazienti differenti anche per luogo di residenza: gente che vive in località di montagna versus gente che vive in una città di pianura. Entro il 2026 vogliamo ottenere una loro “fotografia”. E poi continuare a seguirli negli anni».

I medici di base coinvolti

Ma l’aspetto innovativo di «Brimberg» non è solo scientifico (un gruppo di pazienti sarà poi monitorato con strumenti all’avanguardia come speciali magliette dotate di sensori: i dati inviati saranno analizzati anche grazie all’Intelligenza artificiale e in collaborazione con l’Università di Bergamo). Ma organizzativo e territoriale. Cinquanta medici di base sono impegnati in prima linea nel reclutamento dei mille soggetti da coinvolgere nel monitoraggio. «Abbiamo randomizzato fino ad ora 2.500 soggetti», ha detto Roberto Moretti, direttore delle Cure primarie del Papa Giovanni, a proposito della preparazione della liste dei mille, «i medici di base escluderanno quelli che hanno già delle patologie o avuto degli “eventi”. Bisogna essere precisi, anche poche persone mal scelte potranno modificare l’esito dello studio». L’ospedale incontra il territorio, quindi, e il direttore generale dell’Asst Papa Giovanni, Francesco Locati, ha avuto buon gioco nell’esaltare il concetto di «medicina di prossimità, basata sulla collaborazione tra clinici, medici di assistenza primaria, distretti, ricercatori universitari e istituzioni. Anche i sindaci potranno svolgere un ruolo attivo nella promozione dell’iniziativa». «Non solo la cura, qui è la ricerca stessa a farsi prossima», ha aggiunto l’assessore Marcella Messina, vicepresidente della Conferenza e del Consiglio di rappresentanza dei sindaci dell’Asst (presente anche il presidente Giambattista Brioschi), cui hanno fatto eco Alessandra Gallone, consigliera del ministro Anna Maria Bernini, che ha parlato di «prevenzione come bussola etica», e Simonetta Cesa, direttore sociosanitario del Papa Giovanni, per cui «la prevenzione è un investimento e un patrimonio collettivo».

Il supporto di Anthem

Quanto all’aspetto finanziario, «Brimberg» è promosso dalla Fondazione Anthem, finanziata dal ministero dell’Università con 120 milioni nell’ambito del Piano nazionale complementare al Pnrr. Il suo presidente, Stefano Paleari, ha rimarcato: «La Fondazione è nata due anni e mezzo fa e sta portando avanti 28 progetti. Uno dei presupposti di Anthem è immaginare la ricerca avendo delle comunità come riferimento». In questo caso sono stati impegnati meno di due milioni, ma molto più grande sarà il ritorno in termini di risparmio dovuto a prevenzione. Anche perché, per usare le parole di Mauro Moreno, direttore sanitario, «crescere nei “numeri”, per un ospedale, non è in sé un motivo di vanto. Da noi bisognerebbe finire solo se non ci sono strumenti che impediscono di entrarci».

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