Trauma cranico, 1.000 casi all’anno: il 10% è grave

I DATI DEL PAPA GIOVANNI XXIII. Gritti: in calo quelli determinati da incidenti stradali, aumentano gli anziani ricoverati per cadute. «Con il Negri si studia terapia cellulare».

Sono circa un migliaio i traumatizzati cranici che annualmente vengono ricoverati nella Bergamasca. «E di questi il 10% ha una lesione traumatica cranica grave, tanto da arrivare all’attenzione di noi rianimatori», spiega Paolo Gritti, responsabile dell’Anestesia e Rianimazione neurochirurgica all’Asst Papa Giovanni XXIII.

L’ospedale di Bergamo è infatti un punto di riferimento per la cura dei traumatizzati cranici, avendo l’unica Neurochirurgia e Neurorianimazione di tutta la provincia, oltre a essere trauma center pediatrico di riferimento regionale (a capo del Dipartimento di Urgenza Emergenza e dell’Area critica del «Papa Giovanni» c’è Luca Lorini, mentre a guidare la Terapia intensiva pediatrica è Ezio Bonanomi). «Accogliamo pazienti traumatizzati pediatrici da tutta la Lombardia e adulti da tutta la nostra provincia e talvolta anche da quelle vicine – spiega Gritti –. Negli ultimi anni sono leggermente diminuiti i traumi cranici legati a incidenti stradali, mentre sono cresciuti i pazienti anziani ricoverati a seguito di cadute a domicilio».

Quale è l’incidenza del trauma cranico nella Bergamasca?

«Non è facile rispondere, perché il paziente con trauma cranico presenta delle eterogeneità. Può essere molto diverso l’uno dall’altro, malgrado la causa sia sempre simile, ovvero un colpo esercitato da una forza esterna alla testa. Gli effetti possono essere lievi oppure molto seri con un danno delle strutture cerebrali. Un recente studio ha dimostrato che un individuo su tre rischia entro i primi venticinque anni di vita di subire un trauma cranico che lo porta almeno una volta all’attenzione del personale medico. Per cui è un evento che può essere molto più frequente di ciò che pensiamo. E per questo ci tengo a ringraziare, per il loro prezioso impegno di pronto soccorso, sia il 118 che Areu, l’Agenzia regionale emergenza urgenza. Uno studio epidemiologico effettuato qualche anno fa nella Provincia di Bergamo riportava un migliaio di pazienti per anno ricoverati con lesione traumatica cranica di gravità variabile, trend ancora oggi confermato. Fortunatamente i traumi cranici molto gravi, quelli che giungono alla nostra attenzione di rianimatori, sono molti meno, circa il 10% del totale».

Quanti sono i traumatizzati cranici che seguite all’ospedale Papa Giovanni XXIII?

«Lavoro in una parte del Dipartimento di Emergenza e urgenza e Area Critica diretto da Luca Lorini. E grazie a uno studio condotto insieme a Francesco Biroli della From, Fondazione per la ricerca dell’Ospedale Maggiore abbiamo potuto seguire nel tempo i pazienti più complessi. Su un totale di un migliaio di ricoveri annui per trauma cranico nella Bergamasca, possiamo affermare che ogni anno dai 90 ai 100 pazienti con trauma cranico grave vengono ricoverati in Terapia intensiva al “Papa Giovanni”. Di questi la mortalità intraospedaliera è del 20%. E la disabilità a un anno può arrivare al 47%».

Quale è il quadro che emerge dalla Bergamasca?

«L’analisi dei dati condotta insieme a Rosalia Zangari della From, Fondazione per la ricerca dell’Ospedale Maggiore, ci dice che nella Bergamasca siamo in linea con quanto avviene nei Paesi più sviluppati. Abbiamo assistito in queste ultime decadi a un minor numero di traumi cranici legati a incidenti della viabilità che solitamente interessano la popolazione più giovane. Un modesto calo dovuto a misure preventive come il casco, le cinture di sicurezza e gli airbag. Al contempo abbiamo però visto crescere il numero di pazienti anziani che subiscono traumi cranici da cadute a domicilio, spesso accentuati dalla necessità di essere scoagulati per patologie cardiovascolari croniche associate».

Quali sono le difficoltà maggiori per i pazienti più gravi?

«Le criticità sono molte e diverse, ma forse quella più impattante è il reinserimento nel contesto familiare e sociale. Un lavoro recentemente portato a termine con il neuropsicologo Matteo Vascello ha mostrato in via preliminare quanto sia complesso, per chi dopo un trauma cranico grave rientra a domicilio, superare difficoltà relazionali e tornare a guadagnare l’autonomia lavorativa e sociale precedente l’evento. In tale senso, la riabilitazione gioca un ruolo fondamentale per dare continuità alla cura in ospedale. E noi siamo fortunati, nella Bergamasca, ad avere sul nostro territorio delle strutture riabilitative all’avanguardia, a partire dalla Riabilitazione specialistica di Mozzo nella Casa degli Angeli. Alla fine però la partita si gioca a casa, nelle mura domestiche, dove spesso il peso ricade sulla famiglia che rischia di essere lasciata sola. E a tal proposito vorrei ricordare il prezioso operato di volontari e associazioni, tra cui gli Amici del Trauma Cranico che da anni si spendono in questa difficile missione di aiuto».

«Noi siamo fortunati, nella Bergamasca, ad avere sul nostro territorio delle strutture riabilitative all’avanguardia, a partire dalla Riabilitazione specialistica di Mozzo nella Casa degli Angeli. Alla fine però la partita si gioca a casa, nelle mura domestiche, dove spesso il peso ricade sulla famiglia che rischia di essere lasciata sola»

Come sta evolvendo la ricerca?

«Il tessuto nervoso non è facilmente riparabile, perciò la ricerca è parecchio difficile. Ma anche all’ospedale Papa Giovanni XXIII c’è molto fermento, grazie agli sforzi di tante persone che ci si stanno dedicando spesso al di là del lavoro ordinario. In un ospedale così ricco di competenze e professionalità, lavoro con un’équipe di neurorianimatori molto bravi che collaborano costantemente con i neurochirurghi, ora guidati da Andrea Lanterna, con i neuroradiologi coordinati da Simonetta Gerevini, oltre che con i neurofisiologi guidati da Camillo Foresti e gli infermieri tutti. Stiamo studiando insieme all’ingegner Marco Bonfanti il modo di utilizzare dati estratti dal monitoraggio continuo delle funzioni vitali e neurologiche dei pazienti per ottenere nuovi indici guida nella cura dei casi più gravi. Inoltre il nostro centro, insieme al San Gerardo di Monza, al Policlinico di Milano e all’Istituto di ricerche Farmacologiche Mario Negri, sta studiando una nuova terapia che utilizza le cellule mesenchimali nel tentativo di migliorare la cura di questi pazienti. È quest’ultimo uno studio molto complesso che solo all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo ha richiesto la collaborazione del reparto di Neuroradiologia, dell’Ematologia, del laboratorio di ematologia Paolo Belli e del Centro di terapia cellulare Lanzani che si trova nel presidio Matteo Rota. Solo per Bergamo ci sono una decina di persone con competenze diverse, coordinate da Maria Di Matteo, che si stanno dedicando a questo studio con notevole impegno».

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