Ivan, i 36 anni di un angelo che adesso è volato in cielo come il fratello

TELGATE. Come il fratello che era morto a 20 anni, aveva la distrofia muscolare di Duchenne: si è spento lunedì. Papà Giuseppe: erano speciali.

Un angelo te lo devi meritare. E se ne hai in dono due, devi mettere in conto che sarà anche faticoso. Molto. E allora puoi passare la vita a chiederti perché. Perché proprio a te. Oppure come ha fatto Giuseppe Poma, imprenditore di Telgate, puoi prendere una decisione, che col senno di poi sarebbe stata definitiva. Non avrebbe mai tentennato: «Quando ci hanno detto che i nostri figli avevano entrambi la distrofia muscolare di Duchenne, Alex aveva quattro anni e Ivan cinque mesi. Non ci hanno lasciato nessuna illusione i medici: cure non ce n’erano allora così come non ce ne sono oggi. La ricerca va avanti, noi raccogliamo fondi per Telethon, ma per ora ancora non c’è cura».

«Il destino dei miei due figli – continua – era segnato da una malattia terribile, molto invalidante, si sarebbero spenti lentamente. Uno e l’altro. Si stima che su mille malati, solo uno abbia anche un fratello malato. A noi è capitato così. Ma non mi sono chiesto, allora come ora, perché fosse toccato a me. Non ho imprecato, non mi sono arrabbiato. Non mi interessano le cause, questo a me tocca nella vita, mi son detto, accetto e risolvo. Faccio quel che posso fare».

Non ha mai tentennato, non quando il primogenito Alex è spirato a vent’anni nel 2005 dopo anni allettato; non quando si è spenta la dolce moglie Mirta per un tumore nel 2011; non ora che, mentre la gente sfila nella camera ardente dove Ivan è circondato da vasi candidi, siede sul divano davanti al letto attrezzato dove da una dozzina di anni viveva il suo secondogenito. La distrofia di Duchenne attacca i muscoli e li devasta, pian piano, inesorabilmente. Infine, colpisce il cuore. Lunedì, l’ultimo battito, poi Ivan ha preso il volo lasciando quaggiù tutta la sofferenza dei suoi 36 anni vissuti in salita.

Eppure, il tratto più forte della storia di Giuseppe Poma non è la sofferenza. Prevale l’amore, nel suo significato più limpido. Siede accanto al letto attrezzato in cui viveva Ivan nella stanza alle spalle della cucina dove fino al 2005 c’era anche il letto attrezzato in cui viveva Alex. E racconta di quando il primogenito va all’asilo e il medico nota che quella camminata non va bene, che Alex si deve appoggiare con le mani a terra per rialzarsi. Non va bene per un bambino di quell’età.

Quella terribile diagnosi

La diagnosi è terribile, allora come oggi. Ed è una malattia a trasmissione genetica, quindi si fa l’esame anche al piccolo Ivan, che a quel tempo ha cinque mesi. «Ci dicono che i nostri figli hanno entrambi la distrofia muscolare di Duchenne che colpisce i muscoli indebolendoli fino alla paralisi, e ci spiegano che cosa sarebbe accaduto, a grandi linee». È una sentenza, doppia. Per quei figli, nulla sarebbe stato come per i figli degli altri. «A me questo tocca nella vita, ho pensato allora come penso oggi – bisbiglia Giuseppe –. E non sto lì a guardare il perché e il per come. Io e mia moglie avevamo un legame fortissimo, e fortissimo con i nostri figli. Io ho un’officina meccanica con 13 dipendenti, e vado al lavoro perché voglio mantenere bene la mia famiglia, ma penso anche a quelle dei miei dipendenti. L’officina deve andare avanti, per tutti».

«Mia moglie si dedicava completamente ai ragazzi, si prendeva il sabato mattina per il parrucchiere e il pomeriggio per la spesa mentre in quelle ore a casa c’ero io. Non siamo mai stati soli: mio fratello e le mie sorelle sempre vicini, i familiari di Mirta, poi il personale sanitario della “Namaste”, le due signore che hanno assistito Ivan adesso, Maria e Silvana. Quanti raggi di sole, quanto bene abbiamo avuto. E gli amici, quelli veri, quelli fedeli sempre, quelli che ogni sera anche quando io e Ivan restiamo da soli, passano a casa, buttano un saluto, un sai che ci sono. E io lo so. Ma poi Ivan... Ivan aveva una voglia di vivere... Per 12 anni è rimasto qui, a letto. Non poteva stare seduto altrimenti faticava a respirare. Ma si lamentava? Mai, dico, mai. Mai una sola volta nella vita. Quando è morta mia moglie, ha detto lui a me: “Papà, dobbiamo girare pagina e andare avanti”. Era fantastico, col computer un mago, mi diceva: “Papà, imbranato, ti dico io il percorso da fare per arrivare prima o tu impieghi il doppio...”. Ogni tanto, lo portavo in montagna: ho un furgone con una barella montata dietro, su quella barella ha partecipato alle feste per raccogliere fondi per la Uildm. Le organizzava lui, telefono e computer. Attorno a Ivan è nato un gruppo di persone che si danno da fare per raccogliere fondi per la ricerca contro la malattia. L’avessi mai sentito lamentarsi. Ivan era consapevole e contento. Detto così sembra impossibile, sapeva cosa gli sarebbe toccato, avendo visto il fratello spegnersi prima di lui. Ma era consapevole e contento della vita. Conosce qualcuno che possa suscitare più ammirazione?».

Sfilano le persone nella villetta di via Battisti per salutare quel fiore bianco e rendere omaggio al suo grande papà. Oggi - 11 gennaio - i i funerali alle 14,30 in chiesa. Ivan è già a Casa, con Alex nelle braccia di mamma Mirta.

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