Pomodori, colombe, pavoni e asinelli
La grande bellezza fiorisce nella fattoria

Gabriele Albani, 37 anni, con la sindrome di Down, collabora con la tenuta «La Merletta» ad Almè. Ha iniziato ad occuparsi dei tavoli dell’agriturismo, ogni domenica, apparecchiando.

«C’era una volta una gallina che si muoveva a fatica, perché aveva una zampa più corta dell’altra. Se ne stava per tutto il giorno ferma nel pollaio, ma non soffriva la fame né la solitudine, perché aveva accanto una buona amica, una colomba bianca, che raccoglieva il mais nel becco e glielo portava». Quanta bellezza c’è nell’essere diversi ma vicini, quanta gioia può nascere da gesti piccoli e gratuiti come quello della colomba: lo spiegano con semplicità le favole che Johnny Scolari narrava ai bambini delle scuole in visita alla sua fattoria didattica «La Merletta» ad Almè. «Non c’è niente da inventare - dice -. Basta osservare la vita degli animali, queste cose accadono davvero». Lo seguiamo nel pollaio ed eccole lì, la gallina e la colomba, intente a «chiacchierare» come grandi amiche. Sorride osservandole Gabriele Albani, 37 anni, un giovane di Bergamo con la sindrome di Down, che qui ha trovato una seconda casa, un luogo dove può esprimere le sue qualità migliori a contatto con la natura.

Attenzione all’ambiente

«Anche la storia di Gabriele è come una fiaba - ricorda Johnny -. Ci siamo incontrati per caso, dieci anni fa. Lui pranzava nell’agriturismo con la sua famiglia, ho notato che richiamava con cortese fermezza alcuni bambini un po’ troppo vivaci, perché non rovinassero le piante. Abbiamo chiacchierato, ho notato la sua sensibilità e la sua attenzione all’ambiente, perciò ho pensato che potesse fargli piacere lavorare qui con noi». Prima del Covid-19 Gabriele trascorreva nella fattoria due giorni alla settimana: domenica con il Progetto Senzacca del Comune di Bergamo, lunedì con la Cooperativa Bonsai. Ora può tornare solo in visita. «Ha iniziato come custode - osserva Johnny -, accompagnando i visitatori e invitandoli, se necessario, a rispettare le regole, poi, man mano, gli abbiamo affidato altri compiti».

Un passo alla volta

Gabriele chiama gli animali per nome: «Gli porto da mangiare - dice con un sorriso -, raccolgo la legna nella carriola, porto via le bottiglie vuote, le sostituisco con quelle piene». Nel tempo Gabriele, che era molto timido, ha acquistato più fiducia in se stesso, e Johnny lo ha incoraggiato, insegnandogli a mettere in atto l’invito dello scrittore americano Henry van Dyke: «Usa il talento che hai: i boschi sarebbero molto silenziosi se cantassero solo gli uccelli più intonati».

Ha iniziato a occuparsi anche dei tavoli dell’agriturismo, ogni domenica, partendo da compiti fondamentali come portare l’acqua e il vino, dare una mano ad apparecchiare e sparecchiare, passare uno straccio sui tavoli alla fine del servizio. «Molti clienti - racconta Johnny - restavano colpiti dalla sua gentilezza e dalla compostezza dei gesti». Seguendo il suo ritmo, con calma, un passo alla volta, ha saputo offrire un messaggio importante per tutti: «Gabriele - sottolinea Johnny - impiega tutte le sue energie per rendere felici gli altri, e questo gli dà gioia. Mi sembra una lezione importante per tutti: dovremmo anche noi comportarci come lui».

La sua famiglia lo ha visto migliorare ogni giorno: «Gabriele - spiega il papà Angelo - è diventato più aperto e spontaneo, nonostante abbia sempre avuto grosse difficoltà di linguaggio ora riesce a farsi capire meglio e a interagire con le persone con maggiore naturalezza». Da quando è iniziata la pandemia, però, si sono presentati nuovi ostacoli: «Gabriele, purtroppo, non può più frequentare La Merletta come prima - continua Angelo -, perché i progetti ai quali partecipava sono stati sospesi. Le attività nel centro per disabili che frequentava proseguivano solo in ambienti interni, con i vincoli stringenti delle norme anti-covid: così a un certo punto, notando una certa stanchezza e insoddisfazione da parte di nostro figlio, abbiamo deciso di non mandarlo più. È davvero un dolore per lui, e questo ambiente gli manca moltissimo. Ogni tanto vede ancora i suo amici in videochiamata, ma non è la stessa cosa. Abbiamo fatto il possibile per offrirgli attività alternative, ma temiamo che questa lunga pausa finisca per vanificare tutti i suoi progressi».

La famiglia Albani vive a Longuelo e nonostante le limitazioni imposte dalle norme anti-covid ce la mette tutta per affrontare ogni giornata con serenità: «Al mattino - racconta Angelo - Gabriele mi accompagna nelle commissioni: comprare il pane, il giornale, fare un po’ di spesa. Poi prepara il pranzo con la mamma Nadia: gli piace molto cucinare, sta imparando a preparare anche qualche ricetta più elaborata. Nel pomeriggio se il fratello Riccardo è disponibile va a camminare con lui. Sua sorella Michela è sposata e ha due figli di 13 e 10 anni: purtroppo da quando è iniziata la pandemia non siamo riusciti a incontrarci spesso». Se deve restare in casa, Gabriele ama ascoltare musica in camera sua: «Mi piacciono - dice - le canzoni del Festival di Sanremo».

Ci guida attraverso La Merletta mostrandoci i luoghi dove trascorreva le sue giornate: i recinti, l’orto, il sentiero degli artisti. Poi ci indica la porta di una casetta separata dall’edificio principale della fattoria, dove c’è una bella stufa accesa, tavoli, sedie, e cartelloni appesi alle pareti con colorati collage di immagini. Ce ne indica alcune: «Questo sono io, sto coltivando i pomodori, questi sono gli amici che vengono alla fattoria con me». È una sala accogliente, dove i ragazzi possono seguire dei laboratori manuali quando il tempo non permette le attività all’aperto. «È bello seminare e poi raccogliere la frutta e la verdura che abbiamo coltivato noi», spiega con semplicità Gabriele, mostrando l’orto e la serra.

Intorno a noi si muovono con noncuranza i pavoni, con le loro movenze eleganti, nella voliera cantano i canarini. Pietro, il maiale, grugnisce con disappunto, perché si aspetta che Gabriele gli porti un po’ di cibo. Nel recinto delle pecore olandesi un agnellino, appena nato, piange perché la mamma non gli dà da mangiare, e allora arriva una delle figlie di Johnny per nutrirlo con il biberon.

Ci sono una grande tenda e un focolare, intorno al quale i ragazzi possono sedersi per ascoltare le leggende dei popoli Sioux: ora, però, sono vuoti, perché con le scuole chiuse non si possono più organizzare neppure le visite didattiche. Johnny le ricorda con un pizzico di nostalgia: «Le giornate iniziavano mungendo le capre, poi i ragazzi imparavano come si fa il formaggio, svolgevano tante attività, partecipavano ai laboratori. Senza le loro risate l’atmosfera è diventata un po’ malinconica».

La pandemia ha complicato notevolmente la vita delle cooperative sociali e dei centri per i disabili. Le attività possono proseguire solo se rispettano le norme di sicurezza in ogni momento, dal trasporto allo svolgimento di laboratori in ambienti idonei, indossando le mascherine, mantenendo le distanze, restando il più possibile all’aria aperta. «Per le persone più fragili, che hanno possibilità limitate di interazione - sottolinea Johnny - la continuità è importante. La mancanza di stimoli e di relazioni sicuramente li penalizza».

Anche Johnny ha sperimentato in molti modi la propria fragilità, attraversando più volte la malattia: «Ho superato sette infarti e un cancro - spiega - mi sento un sopravvissuto. Quando ero abbattuto e indebolito dalle terapie, Gabriele trovava sempre il modo di mettermi di buon umore con qualche piccola attenzione, con una battuta spiritosa: è un buon osservatore, guarda con attenzione le persone che ha intorno, riesce a capire di che cosa hanno bisogno. In momenti difficili mi ha aiutato a non perdere la speranza e a ritrovare il buon umore».

Negli anni Gabriele si è cimentato in molte esperienze diverse con gli educatori dei centri che ha frequentato prima in via Borgo Palazzo, poi alla Celadina: «Ha sperimentato - afferma il padre - l’arrampicata al Palamonti, ha contribuito alla realizzazione di piccoli oggetti che poi venivano venduti nei mercatini per la raccolta fondi, di recente è entrato in una squadra di calcio con il Cui e partecipa a due allenamenti alla settimana. Nel tempo è riuscito a migliorare, a imparare cose nuove, a credere in se stesso, e lo deve soprattutto all’impegno nella fattoria, serio al pari di un lavoro, che gli ha dimostrato di essere in grado di prendersi delle responsabilità, fidandosi delle proprie capacità».

Dall’idea al progetto

Johnny ha iniziato vent’anni fa a coinvolgere nella gestione della sua fattoria persone con disabilità: «Non l’ho pianificato - racconta - è iniziato tutto da un incontro speciale con una persona in difficoltà, emarginata da tutti, che qui ha trovato accoglienza e la possibilità di essere valorizzata per ciò che era capace di fare. Parlando con Angelo Gotti del Progetto Senzacca, in seguito siamo riusciti a trasformare un’idea, un’aspirazione in un progetto concreto. Non mi sento padrone ma custode della terra e mi piace condividere questa condizione con altri, offrendo loro l’opportunità di esprimere i loro talenti a contatto con la natura. Gabriele qui si sente come se fosse a casa sua, e questo mi rende felice e orgoglioso. Quando dice di essere diverso e di avvertire questa condizione come un limite, cerco di fargli capire che ognuno di noi ha qualcosa di unico e speciale. Attraverso azioni semplici, come raccogliere le uova nel pollaio, oppure sistemare le bacchette che sostengono le piantine di pomodoro, qui si formano inaspettate catene d’amore e accadono piccoli miracoli. C’è chi all’inizio non vuole venire, ma poi trova tanti amici, chi, come Gabriele, riesce a sfondare il muro della timidezza. Ci sono sempre piccole e grandi conquiste da fare. Credo che la grande bellezza della vita - per tutti - possa consistere proprio in questo: superare i propri limiti, lottare per migliorarsi, conquistare un po’ di felicità e la capacità di realizzare se stessi dedicando tempo alle proprie passioni».

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