Malore in quota, i rifugisti lo salvano col defibrillatore

VALBONDIONE. Un escursionista di 59 anni si è sentito male sul sentiero vicino al Merelli. Il dottor Barcella: intervento di un’efficacia eccezionale.

Da quando i defibrillatori sono stati installati nei rifugi del Cai di Bergamo nel 2007, sono stati usati cinque volte per casi di emergenza. Domenica 6 agosto, al rifugio Merelli al Coca (a quasi 2.000 metri, nel territorio di Valbondione), per la prima volta hanno salvato la vita ad una persona. All’inizio di luglio un intervento simile era stato effettuato al rifugio Alpe Corte, ma non era bastato per salvare un uomo di Albino, morto un paio di giorni dopo in ospedale. Domenica, invece, tutto è andato per il meglio. Lo racconta il dottor Luca Barcella, direttore del Servizio di immunoematologia e medicina trasfusionale dell’ospedale Papa Giovanni, membro della Commissione medica del Cai di Bergamo sin dal 2004.

«Nel pomeriggio di domenica, poco sotto il rifugio Coca, ad una decina di minuti dal rifugio, un uomo di 59 anni si è sentito male – riferisce –. I rifugisti sono stati allertati e hanno chiamato subito il 112. Poi gli sono andati incontro per dargli aiuto». Il rifugista Fabrizio Gonella ha

portato con sé il defibrillatore. «L’uomo era ancora cosciente, ma aveva un formicolio al braccio sinistro e il senso di un peso sullo sterno: i classici sintomi di arresto cardiaco. La persona è svenuta sotto gli occhi del rifugista, che subito gli ha applicato il defibrillatore e ha effettuato il massaggio cardiaco. Dopo 15 minuti circa è arrivato l’elicottero che l’ha trasportato all’ospedale Papa Giovanni». L’uomo è andato subito in Emodinamica, quindi in Terapia intensiva cardiochirurgica. «Già dopo un giorno è stato estubato - dice Barcella -. Non ha riportato nessuna conseguenza neurologica dall’arresto cardiaco: un intervento di un’efficacia eccezionale». Dopo qualche giorno di ospedale, potrà tornare a vivere come prima. Il tempismo è stato perfetto. «In montagna il tempo per salvare la vita di una persona è di 10 minuti, altrimenti il cervello risente dei danni in maniera definitiva: si va incontro alla morte cerebrale. Nell’intervento all’Alpe Corte il problema era stato proprio il tempo critico in cui il sangue non è arrivato al cervello».

Al Coca, e negli altri rifugi del Cai di Bergamo, quest’anno sono stati installati nuovi defibrillatori. «Nel 2007 avevamo collocato nei rifugi i defibrillatori donati dal progetto Bergamo Vita. Dopo la pausa del Covid, grazie ad un finanziamento dal Cai nazionale, abbiamo sostituito tutti i macchinari con defibrillatori più leggeri, dunque trasportabili più facilmente anche a distanza dal rifugio, e completamente automatici». Fondamentale anche la formazione degli operatori: ogni anno la Commissione medica del Cai organizza corsi di formazione e aggiornamento per i rifugisti. «Vengono sempre tutti: c’è chi lo ripete da 17 anni», conclude Barcella.

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