Ondate di calore e nevicate scarse, il ghiacciaio del Trobio è quasi sparito

CLIMA. Poca neve d’inverno e caldo estivo accelerano il processo di estinzione della vedretta sul versante bergamasco delle Orobie. Il confronto fotografico con l’anno scorso è impietoso.

Le frequenti ondate di calore, associate alle scarse nevicate dell’ultimo inverno, non lasciavano molte speranze circa la sorte della vedretta del Trobio, l’ultimo nevaio presente sul versante bergamasco delle Orobie. Lo scorso anno il caldo periodo estivo aveva infatti permesso la conservazione di un «piccolo lembo» di ghiaccio (la cui larghezza, così come lo sviluppo sul pendio, non superava la trentina di metri). Il confronto fotografico, a distanza di un anno, è purtroppo impietoso visto che non ne resta che qualche metro cubo (oltretutto ancora in fase di scioglimento) oltre, naturalmente, ai cumuli di depositi morenici che ne possono confermare la sua passata estensione; sui massi di dimensioni maggiori si possono anche individuare sigle lasciate negli anni precedenti dagli studiosi che salivano in quota per tenerne monitorata l’evoluzione e la dinamicità.

Il 2014, anno controcorrente

Negli ultimi vent’anni la superficie della vedretta del Trobio (la sola rimasta nella nostra provincia) è aumentata solo nel rilievo del 2014. Questo fu però reso possibile grazie al buon quantitativo di neve accumulato durante l’inverno precedente e le avverse condizioni meteo primaverili ed estive. I dati storici confermano che all’inizio del 1900 il fronte del ghiacciaio si trovava diverse centinaia di metri più a valle. Nel recente 1942 si separò in due vedrette (Trobio occidentale e orientale), che trent’anni dopo diventarono tre a causa dell’ulteriore frazionamento di quest’ultima. Negli ultimi anni era però rimasta solo la porzione occidentale, purtroppo ormai agli sgoccioli.

Tra gli aneddoti da segnalare, e che possono aiutare a comprendere la sua enorme estensione a metà del secolo scorso, c’è quello legato alla posa della campana di vetta del confinante Pizzo Tre Confini. «Era il settembre del 1957– ricorda Dino Perolari, classe 1932 di Vertova – quando portammo a termine quel lavoro. Con il mulo arrivammo a circa 2.600 metri di quota e poi ci alternammo tra di noi per portare tutto il materiale fino alla cima. Quando si rese necessario preparare il calcestruzzo notammo che sulla superficie del ghiacciaio era presente un buon quantitativo di ghiaietto. Gli amici mi calarono con una corda per 6/8 metri, tanto bastò per mettere piede sul ghiacciaio del Gleno».

Il report del servizio lombardo

Ma questo non è ovviamente un caso isolato, come confermano i dati raccolti nel report annuale emesso nei mesi scorsi fa dal servizio glaciologico lombardo. «Benché gli accumuli di neve alle quote superiori ai 3.000 metri fossero già iniziati nella seconda decade di settembre (un quantitativo non rilevante ma che aveva almeno interrotto la fusione estiva) – si legge nello studio– la stagione di accumulo è però proseguita con precipitazioni che si sono mantenute scarse per l’intero periodo autunnale ed invernale, ricalcando le condizioni anomale della stagione precedente. Solo nei mesi di aprile e maggio c’è stato un netto cambio di configurazione con apporti nevosi che hanno quantomeno scongiurato la fusione eccezionalmente precoce ed intensa registrata nel 2022. Tutto ciò non ha però evitato la scomparsa della neve con oltre un mese di anticipo rispetto alla media. Le alte temperature di giugno e luglio hanno completamente fuso la neve al di sotto dei 2.900-3.200 metri, senza oltretutto dimenticare che questi processi potrebbero proseguire fino a settembre. Anche quest’anno possiamo quindi affermare con ragionevole certezza che i bilanci di massa dei ghiacciai lombardi saranno fortemente negativi».

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