Zipora, ragazza ebrea
da Auschwitz salvata a Selvino

Salvata dagli americani, la ragazza ebrea approdò alla colonia di Sciesopoli. Scomparsa nel 2009, i figli hanno ricostruito la sua straordinaria vicenda umana.

Zipora Hagar è stata una dei «Bambini di Selvino». È scomparsa nel 2009, all’età di 88 anni. A Sciesopoli arrivò dopo essere riuscita a scampare alla morte, al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau (dove sua madre, sua zia e suo fratello minore furono selezionati e mandati alle camere a gas) e poi in un campo di lavoro forzato ad Altenburg, in Germania, dove venne liberata dall’esercito americano nell’aprile del 1945.

Con un camion della Brigata Ebraica, lei e l’amica Sarah Rob arrivarono a Modena. Da lì Zipora, che aveva 24 anni, vagò in vari campi profughi in Italia; in uno di essi incontrò un soldato ebreo che, quando seppe che aveva studiato come insegnante e che parlava sei lingue, la inviò a Selvino, alla colonia di Sciesopoli dove vennero ospitati i bambini ebrei scampati all’Olocausto. Rimase per diversi mesi come istruttrice finché non migrò in Israele in nave insieme ad altri bambini di Selvino.

A raccontare la sua storia è Enrico Grisanti, dell’associazione Children of Selvino, autore del documentario «Sciesopoli». A sua volta l’ha raccolta dai figli di Zipora, che recentemente hanno ritrovato le pagine scritte dalla madre riguardo il ricovero per tubercolosi nell’ospedale di Bergamo (presumibilmente quello della Clementina, anche se Zipora non lo scrive).

«L’ospedale è un edificio enorme, con due lunghi corridoi che si incrociano – si legge nel diario composto in ebraico –. Le infermiere sono suore, vestite di bianco. Sono nel dipartimento di Otorinolaringoiatria. Ci sono circa 10 posti letto in una stanza, io sono l’unica straniera. Sono tutte donne semplici, quasi analfabete, perché l’ospedale ha reparti secondo le capacità economiche dei pazienti. Sul comodino accanto al mio letto ho messo la foto di Avraham, (il marito di Zipora)».«Io sono seduta sotto una palma – continua Zipora in un altra pagina – e sto leggendo un libro. Le donne sono incuriosite e mi chiedono chi sono. Quando ho spiegato che mio marito era una contadino, sono stata compatita: un’insegnante che ha sposato un contadino. I pasti li consumiamo al refettorio, una specie di piccola sala da pranzo». Zipora racconta di un incontro speciale con un sacerdote: «Una volta, a metà del pasto, entrò un prete. In un batter d’occhio l’intera folla di donne cadde in ginocchio, e io rimasi in piedi al mio posto come un palo. Ovviamente l’attenzione del pastore cadde su di me e mi fece cenno di uscire nel corridoio. Gli ho spiegato che ero ebrea e tra di noi si è sviluppato una specie di dialogo». La ragazza gli racconta non che viene dalla Romania (precisamene da Oradea, dove è nata, pronipote del rabbino Moiznitz) o da Auschwitz, dove è stata a un passo dalla morte, ma dalla Palestina, dove spera di andare. Il prete le chiede se conosca la Bibbia, e quando scopre che Zipora la legge in ebraico, le pone le mani sulla testa e la saluta con le parole: «Prega figlia mia. Pray my daughter». «È impossibile descrivere – commentava Zipora – come il mio status e la mia dignità siano aumentati agli occhi degli italiani in reparto: il parroco mi aveva parlato di persona e anche salutata».

Guarita e prossima alle dimissioni, Zipora ricorda che, prima di andarsene, passò con le amiche Halina Schmulevic e Zipora Friedman, soprannominata Baranek, vicino alla cappella che si trovava nel cortile dell’ospedale. «Sentimmo provenire dei suoni bellissimi dal suo interno. Siamo entrate e l’organo stava suonando l’Ave Maria di Schubert. Ho sentito quella meravigliosa melodia per la prima volta e sono rimasta così colpita che mi sono detta che la desideravo ascoltare ancora». Le tre ragazze devono prendere l’autobus per Selvino alcune ore dopo, uscite dall’ospedale entrano in un cinema. «Come sono strani gli eventi – ricordava Zipora nelle sue memorie -: non ricordo niente del film, ma con mia grande meraviglia quel brano, l’Ave Maria, venne suonato durante il film».

A Selvino torna guarita dalla tubercolosi, ma senza voce: non può insegnare. «Il comitato di lavoro mi assegnò un incarico nel laboratorio di abbigliamento. Era una stanza enorme con scaffali fino al soffitto sui quali erano ammucchiati gli abiti donati. Erano inviati da Israele. Li smistavamo e sistemavamo per distribuirli».

Infine riuscì a partire per Israele con l’amica Sarah. In Israele iniziò a vivere al Kibbutz Ramat David, dove sposò Avraham; la famiglia si trasferì poi ad Afula e Haifa; Zipora lavorò come insegnante, completando anche gli studi presso l’Università. Quando andò in pensione, fu volontaria in corsi sulla Bibbia per adulti.

«Selvino – ricordano i figli Haim e Miriam - è sempre stata per lei un luogo molto importante: lì ha cominciato a riprendersi dai traumi subiti durante la guerra». Quel legame è rimasto saldo. Ad aprile l’associazione Children of Selvino ha organizzato una raccolta fondi (in occasione dell’emergenza Covid) per l’ospedale di Bergamo che ha raggiunto la cifra totale di circa 8.000 euro.

© RIPRODUZIONE RISERVATA