
Le storie dimenticate / Bergamo Città
Domenica 25 Agosto 2013
Sant'Agostino, allo sferisterio
sfide con il bracciale di legno
di Emanuele Roncalli
Da cintura difensiva a parete per il gioco della palla. Strano destino quello delle Mura Venete. Un tempo proteggevano la città, tre secoli dopo respingevano palle di cuoio. Avete storie del vostro paese o luoghi dimenticati da segnalare? Scrivete a [email protected]
Da cintura difensiva del Cinquecento a parete per il gioco della palla al bracciale. Strano destino quello delle Mura Venete. Un tempo la fortificazione proteggeva la città, tre secoli dopo doveva respingere non più gli attacchi del nemico, ma palle di cuoio e vescica di animale. Così era quel tratto di Mura sotto Sant'Agostino, che fungeva da lato di campo per il gioco al pallone toscano.
A ricordare emozionanti partite sono rimasti i ritagli di vecchi giornali e i bracciali di legno, conservati in alcuni palazzi nobiliari di Città Alta, come memorie di sfide lontane, oppure come singolari pezzi d'arredamento. Sferisterio, pallone toscano, bracciale di legno, dietro queste singolari parole c'è un gioco che si è evoluto nei secoli sino a diventare un'autentica disciplina sportiva, come il tamburello.
Gli sport sferisterici non ebbero grande diffusione in Lombardia, ma questi impianti per la palla al bracciale (con le varianti palla pugno, palla elastica ecc.) furono costruiti anche a Bergamo, Cene, Comenduno, poi demoliti nell'immediato dopoguerra. In alcune località della Valle Seriana e all'ippodromo di Borgo Santa Caterina al bracciale toscano si preferiva il «gioco alla palla», peraltro simile.
Del resto già a metà Ottocento a Bergamo si giocava alla palla sotto la cinta di Sant'Agostino, più o meno la zona sotto il monastero omonimo; il campo erboso era all'ombra del tratto di Mura che ha conservato un nome inequivocabile: Baluardo del Pallone. Alcuni anni dopo, il gioco divenne assai popolare tanto che il 29 agosto 1905, «L'Eco di Bergamo» annunciava l'inizio «dell'erezione del tanto desiderato sferisterio, sotto le mura di Sant'Agostino, in un luogo del tutto ombroso».
I lavori durarono sino al marzo 1906, l'opera fu inaugurata domenica 8 aprile 1906 con una partita «fra le squadre di Bergamo con a capo il battitore Baglì di Albino: la giuocata fu ben contesa d'ambe le parti, restando però vincitrice la squadra di Bergamo con 14 partite». Lo stesso anno si disputarono «due grandi partite di giuoco al pallone toscano a cordino in aria e a cordino in terra». L'Eco di Bergamo annotò scrupolosamente le formazioni con i nomi dei battitori, delle «spalle», dei terzini e del giudice.
Ma com'era lo sferisterio? L'impianto del campo da gioco, a pianta rettangolare, doveva avere un muro d'appoggio, con funzione anche di ombra; gli altri lati erano delimitati dal corridoio dei falli e da protezioni (reti, tavolati, loggiati per donne e bambini). Il campo, pianeggiante, veniva diviso longitudinalmente dal «cordino» (linea di metà campo) in due parti chiamate battute e ribattute.
Le due squadre erano formate da tre giocatori per parte: il battitore - assistito dal «mandarino» con il compito di lanciargli la palla - che doveva colpire al volo la sfera per rendere difficile la risposta degli avversari; la «spalla» o aiutante del battitore; il terzino generalmente il più giovane e il più veloce dei giocatori. Si trattava insomma di un «batti e ribatti» della palla da una squadra all'altra, come in una partita di tamburello, meglio ancora di tennis, visto che il sistema di punteggio era lo stesso. Il bracciale era costituito da sette file di quattordici denti di legno e pesava sino a due chili; aveva un'impugnatura singolare in modo che la mano non sporgesse e quindi non potesse essere colpita dalla palla.
Il giocatore fasciava il polso e l'avambraccio con della tela e infilava il bracciale. Alcuni esemplari sono custoditi nel Palazzo dei Baroni Scotti di Bergamo Alta. Il pallone toscano era formato da pezzi di cuoio, all'interno c'era una vescica di maiale che fungeva da camera d'aria. Tra la vescica e il cuoio veniva posta una pelle scamosciata.
Più avanti la vescica di maiale fu sostituita con quelle bovine. Detto del bracciale toscano, passiamo al gioco - simile - «della palla». La sfera, pressoché identica, veniva colpita a mani nude. A Bergamo, come a Casnigo, Gandino, Leffe, Gazzaniga, Cene, Vallalta, Parre gli anziani si radunavano in centro paese per lanciarsi le sfide.
Questa disciplina, nota come «ol zoch dol balù», era di moda soprattutto negli Anni Trenta. Praticato nella piazza principale del paese, di domenica, ma anche durante la settimana se le circostanze degli eventi lo permettevano, il gioco del pallone vedeva fronteggiarsi giovani e adulti. La palla era fatta con una vescica di vitello, altre volte di cuoio piena di crine di cavallo e veniva colpita non con il pugno, ma con un tamburello. Spesso di usava la «sconflèta», palla di minor pregio e resistenza fatta con budello di maiale. Ma la si poteva utilizzare un giorno solo, perché presto sarebbe diventata «schésc», floscia e non poteva rimbalzare.
Nacque probabilmente allora il detto di uno poco intraprendente ch'era «schésc» come una «sconflèta», mollo come una palla: un po' grasso, tonto, duro di comprendonio. Ciascuna squadra era formata da un battitore e due ribattitori che dovevano scagliare la palla nel campo avversario, e da due «cazzaioli» o custodi della «cazza», ruolo di fondamentale importanza, come fosse il portiere in una gara di rigori.
Il campo da gioco, per esempio a Casnigo, era il rettangolo di «piazza noa», poi piazza Bonandrini. Finita la partita, i battitori, i ribattitori e i «cazzaioli» bagnavano i lividi delle braccia dentro secchi di ghiaccio e la gola impastata con un vino rosso frizzante. Altri tempi, quando in palio vi erano spesso salumi e formaggelle da gustare nel pomeriggio domenicale. Altre storie (dimenticate), quando l'indomani tutti andavano in fabbrica a lavorare. E - un po' come oggi - a schernire gli sconfitti.
Emanuele Roncalli
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