La piena travolse il ponte romano
dove camminò una regina

di Paolo Aresi

Era una delle grandi opere dell’impero romano, un ponte a 8 arcate, lungo 196 metri che superava il Brembo fra Almè e Almenno S. Salvatore. Se anche voi avete storie dimenticate da segnalare, scriveteci: [email protected]

Era una delle grandi opere dell’impero romano, un ponte a otto arcate, lungo ben 196 metri che superava il Brembo fra Almè e Almenno San Salvatore. Crollò in una data precisa, 30 agosto 1493, l’anno successivo al viaggio di Cristoforo Colombo verso l’America. Fu un’alluvione catastrofico che seminò morte in Valle Brembana, ne distrusse tutti i ponti con l’eccezione di uno, a Sedrina. Rimasero in piedi solamente tre delle otto arcate: quel rudere di ponte lo si ammira in diversi disegni del Settecento. Ci sono testimonianze di quei momenti drammatici. In particolare si racconta che al momento del crollo sul ponte si trovavano trentasei persone «In continuo batticuore... Durò la furia tre giorni, onde fu necessità gettar à quei miseri il pane con le fiombe per loro sostentamento, finché poi calata l’acqua, con scale e funi s’aiutarono».

Le tre arcate centrali si opposero al Brembo per ben trecento anni: un’arcata cedette il 15 giugno del 1783, le altre due dieci anni dopo. Passarono altri cento anni e il prefetto di Bergamo concesse a una ditta di Villa d’Almè la possibilità di abbattere i resti dell’antico ponte. Negli stessi giorni, Elia Fornoni, ingegnere molto stimato a Bergamo, iniziò i rilievi di tutte le parti superstiti, rilevò la sorprendente somiglianza con il ponte di Alcantara, sul fiume Tago: in effetti, i due manufatti appartengono allo stesso periodo. Insomma: della straordinarietà di questa costruzione ci si rendeva ben conto anche nel XIX secolo. L’argomento è stato ben trattato da Paolo Manzoni sulla storia dell’antico Lemine.

Ma perché venne costruito un ponte così imponente, monumentale? Che cosa collegava? Rimangono ancora elementi di quella viabilità? Perché veniva chiamato della Regina? I misteri del ponte affondano in una storia di millenni che parte ben prima del regno di Traiano. E si collega ad altri manufatti che si rintracciano nella zona: per esempio alle cosiddette «scale di Almenno», modo in cui veniva chiamata la salita che dal Brembo raggiunge il centro di Almenno San Salvatore. Ma, in realtà, chi percorre la salita in auto o in bicicletta (è zona di ciclisti in allenamento) percorre in realtà un’ampia strada con un paio di tornanti. Ma perché le «scale»?

Basta spostarsi di qualche metro. Nei pressi del punto dove il ponte si congiungeva alla terraferma, parte ancora oggi un viottolo, una mulattiera in gran parte fatta a gradoni che sale in direzione del santuario della Madonna del Castello, altro luogo di fascino e di mistero. Siamo sulla direzione che porta verso San Tomè (un’altra testimonianza della strada, come le »scale» potrebbe essere rappresentata dal ponte del Tarchì, sul torrente Tornago, nei pressi della famosa chiesa romanica) e quindi verso Pontida e Cisano, ovvero siamo precisamente sul percorso dell’antica strada romana pedemontana che congiungeva l’est dell’Italia alla Rezia, la zona alpina oggi corrispondente al Cantone dei Grigioni e al Tirolo. Ma è molto probabile che i romani avessero impostato la loro viabilità su tracciati che esistevano da secoli. A questo punto si affonda nella preistoria, nelle vicende del neolitico, della civiltà di Golasecca, età del ferro, e ancora prima. Recenti scoperte archeologiche effettuate nella Bergamasca dalla sovrintendente Raffaella Poggiani Keller, fanno pensare che una rete viaria potesse esistere già due o tremila anni prima di Cristo. Una rete di strade percorribili da carovane di mercanti perché i traffici commerciali erano già avviati. Della cultura di quei popoli conosciamo ben poco. In questo ambito si inserisce anche la scoperta, avvenuta sei anni fa, delle incisioni rupestri in Alta Val Brembana, sopra il Lago del Diavolo, a circa duemila e trecento metri di quota, graffiti che sembrano risalire all’età del ferro e forse anche più indietro. Si ritiene che anche in quei luoghi transitasse una via, camminassero mercanti e viandanti. Addirittura si pensa potesse esistere un santuario naturale, un luogo di culto del dio Pennino.

Torniamo al ponte della Regina. Perché questo nome? A chi si riferiva? Non ci sono risposte certe. È probabile che questa denominazione si riferisse al periodo longobardo. Ma chi era la regina? Si ipotizza un riferimento alla celebre Teodolinda che potrebbe avere ordinato il restauro del ponte e che avrebbe soggiornato nella corte di Lemine. Un’altra ipotesi è che la regina in questione possa essere Teutberga, moglie del re franco Lotario II che la sposò nell’855 e che fu re d’Italia e poi imperatore d’occidente. Teutberga non fu una regina felice: le cronache di quegli anni lontani affermano che Lotario la sposò per interesse (era figlia di una delle famiglie più potenti d’Europa), e che in realtà amasse Waldrada. Lotario ripudiò Teutberga. Ne seguirono vicende avventurose e terribili. Non è escluso che Teutberga, regina dal destino drammatico, abbia attraversato il ponte di Lemine in uno dei suoi spostamenti. Fu il suo passaggio a imprimersi nell’immaginazione popolare e nelle pietre del ponte?

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