«Io, suora e medico, scampata a Ebola
ora combatto contro un nemico subdolo»

La storia Suor Angela a Zogno fa parte di una task force di sanitari che visita a domicilio i pazienti sospetti «Penso al mio Congo dove i malati moriranno anche di fame. Ne usciremo: anche questa epidemia se ne andrà»

Vai a capirla, la vita. Ha schivato per un pelo l’epidemia d’Ebola che nel 2018 ha messo in ginocchio il nord-est del suo Paese, il Congo, graziando la provincia centrale di Kananga, dove è nata e cresciuta. E, arrivata nella modernissima e attrezzatissima Bergamo, s’ è invece ritrovata catapultata in prima linea contro un virus subdolo, silenzioso e ostinato, che l’Italia intera combatte con armi ancora in costruzione.

Suor Angel Bipendu, 47 anni, è un medico. Donna di fede e di scienza. Laureata in Medicina all’Università di Palermo (nel 2015) dove si è trasferita per dar manforte alle suore Discepole del Redentore della comunità Cristiani nel mondo, due anni fa partecipa e vince il bando di Ats Bergamo per prestare servizio come medico di guardia nel presidio di Villa d’Almè. E da settimana scorsa entra a far parte delle Usca, acronimo a indicare quelle truppe speciali di medici che visitano a domicilio pazienti accertati o con ogni probabilità positivi al Covid-19. «Sono di base a Zogno, e visito su segnalazione dei medici di base i pazienti di Valle Brembana e Valle Imagna. Anche le guardie mediche diurne ci possono attivare.

Il nostro lavoro consiste nel visitare, bardati con tutti gli strumenti di protezione, i pazienti: proviamo febbre e saturazione dell’ossigeno, ascoltiamo i polmoni. E prescriviamo l’ossigenoterapia, quando ce n’è bisogno, così come terapie mirate a chi ha patologie associate, diabete o ipertensione per fare due esempi. Naturalmente, quando ci troviamo di fronte a persone che versano in condizioni critiche, chiamiamo il 112 chiedendone il ricovero». Gli ospedali e il mare Un ruolo che va al di là della diagnostica: «Molto del nostro lavoro consiste nel supporto psicologico: cerchiamo di rassicurare i pazienti, molti di loro sono anziani che si sentono soli, che non vedono nessuno da settimane.

A loro spieghiamo, e ne siamo fortemente convinti, che curare il coronavirus a domicilio - dove possibile - è certamente la cosa migliore. I pazienti che vengono ricoverati non in gravi condizioni spesso vivono un dramma psicologico enorme, nel vedere lo strazio attorno a loro. A chi si cura da casa questo dramma viene risparmiato». Già, il dramma. Suor Angel, che fra il 2016 e il 2017 ha lavorato a bordo delle navi della Guardia costiera italiana come medico del Corpo italiano di soccorso dell’Ordine di Malta, lo conosce bene: «Ma c’è una grande differenza. Lì eravamo in mare, e curare in mezzo al mare è per forza di cose un’impresa ardua, perché manca quasi tutto. Qui e ora, il dramma è sulla terraferma: e nonostante non ci manchi quasi nulla, in termini di attrezzature e strumentazione, non sempre riusciamo a farcela».

I piedi di suor Angela, che fino a pochi giorni fa viveva con le suore canossiane di Almè, salvo poi spostarsi a Zogno per evitare di mettere le religiose a rischio, sono ben piantati in terra orobica. Africa, sanità e fame Ma la testa, quella, guarda lontano: «Penso al mio Congo, dove sta iniziando ad arrivare l’epidemia. Sono diventata medico, qui in Italia, sapendo che un giorno sarei potuta tornare in Africa: lì i dottori valgono oro. E quando la mia comunità religiosa mi richiamerà a casa, l’esperienza fatta qui servirà non solo a curare i pazienti, ma anche a formare nuovi medici. Purtroppo, sappiamo già che in Africa il dramma non sarà solo sanitario. Con l’isolamento e le persone chiuse in casa, il rischio concreto è che si muoia anche di fame». L’immagine di Papa Francesco solo nel cuore di piazza San Pietro è stata per suor Angel una ferita: «So che ne usciremo, so che questa epidemia com’ è arrivata se ne andrà. Ma vedere il Papa provato, in una piazza deserta, mi ha fatto tremare il cuore».

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