DUE GHIACCIATI IN UNA BUCA 
IF XXXII, 124 ss. 
124       Noi eravam partiti già da ello, 
125    ch'io vidi due ghiacciati in una buca, 
126    sì che l'un capo a l'altro era cappello;  
127       e come 'l pan per fame si manduca, 
128    così 'l sovran li denti a l'altro pose 
129    là 've 'l cervel s'aggiugne con la nuca:  
130       non altrimenti Tideo si rose 
131    le tempie a Menalippo per disdegno, 
132    che quei faceva il teschio e l'altre cose.  
133       «O tu che mostri per sì bestial segno 
134    odio sovra colui che tu ti mangi, 
135    dimmi 'l perché», diss'io, «per tal convegno,  
136       che se tu a ragion di lui ti piangi, 
137    sappiendo chi voi siete e la sua pecca, 
138    nel mondo suso ancora io te ne cangi,  
139       se quella con ch'io parlo non si secca».  
Dopo che Bocca degli Abati, tradito da un dannato, tradisce a sua volta altri compagni di dannazione rivelandone l'identità - come se i traditori non potessero far altro che tradirsi a vicenda, in un gioco di tradimenti reciproci - Dante assiste ad una scena raccapricciante: vede due dannati in una buca nel ghiaccio, uno sopra l'altro, mentre uno dei due rode selvaggiamente il capo dell'altro, alla base del cranio. Si tratta di Ugolino della Gherardesca e dell'arcivescovo Ruggieri. 
La descrizione è di una bestialità impressionante, resa con un linguaggio fatto di parole-cose, ricco di allusioni animalesche e antropofagiche per esprimere l'odio bestiale che lega i due in un'unica ed inseparabile dannazione. 
Dante chiede al primo di spiegargli il perché di tanto odio; conoscendo la loro storia la riporterà nel mondo suso ma a condizione che la lingua non gli si secchi: l'espressione allude alla difficoltà di trovare le parole per rappresentare tanto orrore e per narrare un'esperienza indicibile.
Enzo Noris