Addio banca, a Dakar
a far studiare le bambine

Una laurea triennale in Economia internazionale e un impiego part time nello studio di un commercialista: il futuro professionale di Mara Alborghetti, 34enne di Cenate Sopra, sembrava già scritto nel 2005.

Lei sperava di finire dietro alla scrivania di una multinazionale, mentre il papà la sognava in banca, ma poco importa: tutto si sarebbe dovuto svolgere in Valpredina e dintorni. Eppure oggi vive a 4.268 chilometri dalla sua Cenate (esattamente a Dakar, in Senegal, nazione in cui risiede da quasi sette anni): è una cooperante e sta seguendo un progetto rivolto alla scolarizzazione delle bambine. E lì ha trovato anche l’amore: da qualche mese si è sposata con un rapper e attore senegalese.

Tutto ciò non sarebbe accaduto se, alla vigilia della laurea triennale, non avesse dovuto svolgere uno stage propedeutico alla discussione della tesi. «L’Università mi assegnò al Celim Bergamo, un’ organizzazione di volontariato internazionale di ispirazione cristiana che è attiva nel Sud del mondo da più di 50 anni. Nel primo periodo mi occupai di raccolta fondi per il Burkina Faso e, terminato il tirocinio, decisi di continuare la collaborazione con un anno di servizio civile in Mali, nel villaggio di Tominian, dove il Celim e la Caritas stavano lavorando per promuovere lo sviluppo rurale, con particolare attenzione alla situazione femminile. Capii che la mia strada era il mondo del “no profit”: il confronto con l’altro è quanto di più arricchente possa esistere, senza contare la gioia che deriva dal poter aiutare qualcuno».

Ovviamente non fu tutto rose e fiori: non solo per la distanza da casa, ma perché imbattersi in condizioni di povertà tanto estreme è difficile da accettare. «Il momento peggiore – ricorda – fu quando scoprii che un bimbo a cui mi ero affezionata e che viveva in un orfanotrofio vicino era morto a causa di un’ernia inguinale». Uno schiaffo in pieno viso, come quello che si riceve appena si atterra a Bamako, la capitale, dove la temperatura tocca i 50 gradi. Difficoltà grandi e piccole, ad esempio il cibo. «Persi molto peso, considerato che ci si nutriva prevalentemente di polenta di miglio abbinata a salse ricavate dalle foglie. Una volta mi servirono quello che per loro era un piatto prelibato: delle termiti alate fritte. A dirla tutta non erano nemmeno male: sapevano di pop corn. Senza contare che gli insetti sono altamente proteici: ma non fui capace di chiedere il bis».

Tornata in patria decide di seguire il consiglio del suo responsabile: specializzarsi. Il fato volle che proprio a gennaio del 2008 all’Università di Bergamo prendesse il via un Master internazionale in micro finanza: una quarantina di posti in totale, trenta dei quali destinati a ragazzi provenienti da Paesi in via di sviluppo. A conclusione di un anno di lezioni tenute da luminari del settore, si presenta l’occasione di un doppio stage: in Senegal, per la ong Acra e in Burkina Faso, con il Cisv di Torino. Ed è questa esperienza ad aprire le porte a una nuova opportunità: nel 2009 Acra le chiede di recarsi in Senegal per un progetto triennale nell’ambito della micro finanza: Mara accetta.

Gli anni diventano cinque e, da assistente, viene nominata capo progetto. «Lavoravamo per promuovere la sicurezza alimentare, il turismo consapevole, l’educazione e la micro finanza. Successivamente sono passata alle energie rinnovabili: abbiamo collocato 32 pompe solari a uso agricolo e domestico nel Nord del Paese, più 12 micro impianti di elettrificazione adibiti a scuole e strutture sanitarie. Dopo una vacanza di un paio di mesi a Cenate Sopra, dai miei genitori, da ottobre mi occupo di educazione delle bambine direttamente con il ministero degli Esteri».

Garantire l’istruzione alle bambine, infatti, è una delle priorità della cooperazione italiana in Senegal. «Qui le bimbe non finiscono mai un intero ciclo di studi: alle elementari la situazione è leggermente migliorata, ma dalle medie sono costrette a rimanere a casa per accudire i fratelli e fare le pulizie, per poi sposarsi intorno ai 14 anni. A ostacolare la loro istruzione è anche l’assenza di cose che noi diamo per scontate, come dei servizi igienici separati: nel momento in cui sopraggiunge il ciclo mestruale, abbandonano la scuola. Stiamo cercando di eliminare tutti i fattori che impediscono l’accesso e il completamento scolastico in 78 strutture del Paese».

A Dakar Mara ha trovato anche l’amore. «Si chiama Jojo ed è molto famoso qui: fa parte di un collettivo di rapper, Yat Fu, è attore in diverse serie televisive e organizza eventi culturali. Ci piacerebbe avere presto dei figli perché, come scriveva il poeta senegalese Léopold Senghor, “Il metissaggio è l’equilibrio del mondo”». Ogni volta che tornano ai piedi del Monte Misma, i due hanno una sfilza di amici e parenti africani da visitare: «A Bergamo esiste una grande comunità senegalese: una delle più estese in Italia. E, a dirla tutta, vedo molte similitudini tra noi e loro: il forte attaccamento alle radici, così come l’essere dei lavoratori instancabili. Una volta espatriati esercitano prevalentemente come operai o nel commercio, aprendo dei call center: il loro obiettivo è racimolare del denaro per poi fare ritorno in Africa».

Ma com’è abitare a Dakar? «È una città molto bella, moderna, dove è facile imbattersi in edifici imponenti e grandi catene, anche di marchi del Belpaese. Ho un nutrito gruppo di amiche italiane con le quali, spesso, ci si trova per cucinare una bella teglia di lasagne: ammetto di aver colonizzato culinariamente mio marito! Anche se a pranzo preferisco cibo locale: come il “C’est bon”, un piatto di pesce grigliato, riso, gamberi e ostriche secche. Impazzisco anche per il Karkadè – da cui si ricavano succhi e salse – e per i biscottini al Baobab».

Il futuro sembrerebbe essere lontano dalla natìa Cenate, ma Mara non si sbilancia in previsioni a lungo termine. «Mio marito mi ripete di continuo che dovrei iniziare a prendere la vita come si fa in Africa: concentrandomi sul presente invece che sul futuro, cosa che invece privilegiamo noi europei. Amo il mondo della cooperazione, ma al contempo ho nostalgia dei miei genitori, di mia sorella, mio nipote e mio cognato. Se ho scelto di percorrere questa strada è anche merito dell’educazione che ho ricevuto dalla mia famiglia: “Cerca sempre di fare del bene e di non essere egoista”, mi ripetevano come un mantra. Apprezzo la loro infinita generosità nell’avermi concesso di partire a poco più di 20 anni e vivere così lontana. Anche se, ogni tanto, mio papà me la butta lì: “Allora: quand’è che inizi a lavorare in banca?”».

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