Da Colognola a Cupertino
per la nuova sede Apple

La sua voce gentile fatica ad avere la meglio sull’assordante trambusto di sottofondo. Ovvio, direte voi, all’altro capo del telefono c’è Alberto Menegazzo, 38enne di Colognola che da quattro anni e mezzo vive a San Francisco e starà certamente gustandosi un «frappuccino» mentre passeggia per la caotica California Street. Sbagliato: l’architetto bergamasco sta sì macinando chilometri in lungo e in largo, ma a Cupertino, cuore della Silicon valley, dove si occupa della progettazione e costruzione del nuovo Campus Apple.

Un cantiere super blindato, che è quasi riduttivo chiamare «megagalattico». Alberto può sbottonarsi poco, essendo vincolato a rigide clausole di riservatezza, ma le indiscrezioni in rete abbondando. Si sa, ad esempio, che il quartier generale della «Mela» - che sarà inaugurato quest’anno - sorgerà su un’area sterminata (260mila metri quadri di uffici e 9mila tra centro fitness e polo di ricerca e sviluppo) e accoglierà i 13mila dipendenti del gruppo.

È stato Steve Jobs in persona a fornire gli input iniziali all’«archistar» a cui si affidò nel 2011, Norman Foster; Menegazzo è entrato a far parte dello staff dello studio londinese «Foster+Partners» nel 2006 e ricorda come i suoi capi ogni mese si recassero in California per interfacciarsi con il famoso committente: «Ci dipingevano un uomo esigente, affascinato da materie prime naturali, come legno e pietra. Quando gli fu mostrato uno dei prototipi per gli uffici, era estasiato: del resto lui non nascondeva l’ammirazione per Foster, che definiva il numero uno al mondo».L’enorme struttura a pianta circolare - ricoperta da più di 3 mila lastre di vetro curvo (le più grandi mai realizzate) - funzionerà al 100% con energie rinnovabili: merito dei pannelli solari installati sul tetto e degli impianti a celle combustibili.

«Dietro a Apple Campus 2 c’è molta più Italia di quanto si creda: dai materiali, alle tante aziende tricolori arruolate», racconta. «Io seguo la “cafeteria”: si tratta di uno spazio delle dimensioni di un campo da calcio, con più di tremila posti a sedere e una gigantesca porta scorrevole in vetro, di 15 metri, che si apre su un paesaggio bucolico. Jobs puntava al recupero dell’aspetto originario di Cupertino, che prima di diventare sinonimo di high tech era una cittadina agricola, piena di verde e alberi da frutto: pesche, ma soprattutto mele (si parla di 7.000 arbusti seminati, ndr). Basti pensare che la prima figura che contrattualizzò fu un arborista».

Tra i suoi 3.500 colleghi c’è anche la moglie, Astrid, designer danese e compagna di lavoro fin dai tempi di Londra. «Cura la progettazione e l’arredo degli uffici», spiega. I due si sono sposati ad Alzano Lombardo. «Una scelta strategica: grazie all’aeroporto di Orio, Bergamo era una meta comoda per gli ospiti, tutti provenienti da Regno Unito e Danimarca». Oggi hanno due figli: Elio, di un mese, e Idun, 3 anni e tre lingue, che ogni 13 dicembre aspetta con ansia Santa Lucia. «È una tradizione che ci accomuna con il nord Europa, dove ogni bambino conosce e canta “Sul mare luccica, l’astro d’argento”, ovviamente tradotta». Sono molti gli aneddoti che riguardano l’attuale domicilio professionale di Menegazzo. «Credo che i dipendenti Apple siano tra i pochi americani a mangiare bene: qui esiste un’attenzione incredibile nei confronti del cibo, tutto deve essere salutare. Sconvolgente pure l’età media: al di sotto dei 30 anni. Può risultare sorprendente che non abbiamo nessun obbligo di usare prodotti con il logo della mela; non è quindi un tabù vedere qualcuno che estrae dalla valigetta un Pc o un Blackberry: del resto pullula di freelance. Se ho conosciuto l’amministratore delegato Tim Cook? No, ma mi è capitato di incrociare Jonathan Ive, colui che cura il design di tutte le linee».

La famiglia italo-danese ha deciso di vivere a San Francisco, anziché a Cupertino che «è il tipico sobborgo americano di provincia, fatto di centri commerciali e quartieri costruiti a cul-de-sac. Nulla a che vedere con la cosmopolita “Frisco”: la distanza che percorro ogni giorno è simile a quella tra Milano e Bergamo. Sebbene l’autostrada sia a cinque corsie non è un granché scorrevole, ma ho la fortuna di potermi spostare con le navette messe a disposizione del personale».

Ne ha fatta di strada da quando, fresco di laurea in architettura al Politecnico, ha preso un volo di sola andata per Londra. «Mi ero dato cinque mesi di tempo per trovare un lavoro nel mio ramo: altrimenti sarei tornato a Colognola dai miei. Senza saperlo è stato papà Armando, commercialista, a iniziarmi all’amore per quella che in seguito è diventata la mia professione: quando ero una matricola al Mascheroni, lui era revisore di conti de «L’Arca edizioni», una rivista di settore, e portava a casa ogni numero. È stato proprio sfogliando quelle pagine che è nato il mio interesse per questo mestiere. Ho passato il primo mese a preparare cappuccini in un bar all’ombra del Big Ben, fino a quando non sono stato assunto da un piccolo studio per il quale ho curato la progettazione di un hotel a Soho. Dopo due anni, però, ho sentito il desiderio di confrontarmi con una realtà di ampio respiro: ho mandato il mio curriculum agli architetti che più ammiravo, fino ad essere arruolato da Foster, che conta ben 900 dipendenti». Nonostante i fasti passati e futuri, Alberto rivela che, una volta finito con l’Apple Campus, vorrebbe far ritorno in Europa: magari a Bergamo.

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