L’ingegnere del cemento
con la valigia pronta

«Ho trascorso l’infanzia e l’adolescenza nell’officina di riparazioni di mio padre. La scelta della superiori è venuta da sé: perito meccanico. Purtroppo lui è venuto a mancare proprio in quegli anni e dopo il diploma ho deciso di andare a lavorare, anche per aiutare la famiglia. Aspiravo ad un impiego in una multinazionale, per viaggiare, allargare i miei orizzonti e confrontarmi con culture diverse».

Da poco Joys Riva, 39 anni, di Palazzago, ha lasciato la Pennsylvania per trasferirsi a Chicago nel ruolo di responsabile delle attività operative del sito produttivo di Mapei, una multinazionale italiana con sede a Milano e un importante mercato negli Stati Uniti. «Mia moglie Laura, con i nostri figli Elena e Riccardo, mi hanno raggiunto durante le vacanze di Natale».

Ci sono storie che si raccontano da sole, come se si sviluppassero su degli assi cartesiani, ma tutt’altro che prevedibili, tutt’altro che scontate. La carriera di Joys inizia all’ Italcementi quasi 20 anni fa, una partenza carica di entusiasmo e di voglia di fare.

«I primi due anni ho viaggiato per il mondo per fare assistenza sugli impianti, in Thailandia, Egitto, Marocco, Stati Uniti, poi però ho deciso iscrivermi ad Ingegneria meccanica prendendo un accordo con l’azienda, che ha accettato di assegnarmi meno trasferte perché potessi terminare gli studi nei cinque anni previsti e così è stato. Dopo la laurea è arrivato il primo progetto importante che mi ha tenuto per due anni in Marocco per la costruzione di una nuova cementeria vicino ad Agadir, come vice responsabile di avviamento e messa in produzione. Ero già sposato e mia figlia Elena, che adesso ha 8 anni è nata proprio pochi giorni dopo la fine dell’incarico. Un’esperienza che mi ha dato tanto, un incarico rilievo con un investimento economico notevole, in un Paese straniero e per me quasi sconosciuto. Il gruppo di lavoro era misto, con italiani e marocchini e lì ho avuto la conferma che lavorare in team internazionali è per me davvero molto stimolante. Le differenze culturali, il know how, le attitudini personali vengono condivise e usate come leva preziosa per raggiungere il massimo».

Rientrato in Italia l’incarico successivo per Joys è un’altra bella sfida giocata quasi in casa: «Mi hanno assegnato a Brescia, per seguire l’ammodernamento di tutta la linea dell’impianto pre-esistente. Un progetto durato due anni con obiettivi molto ambiziosi: aumentare la capacità produttiva ricercando la migliore tecnologia disponibile sul mercato a livello mondiale e contestualmente ridurre l’impatto ambientale del 75%».

Gli obiettivi sono stati raggiunti e ancora oggi, nel settore, quell’impianto è un fiore all’occhiello per l’Italia. È stato Matteo Renzi, l’allora presidente del Consiglio a premere il pulsante di avviamento nel 2014. Per fortuna è andato tutto bene; ammetto che gli attimi prima sono stati di grande tensione, perché il responsabile dell’avviamento ero io».

Joys approfitta dei due anni di stanza a Brescia per prendersi un Master in Business Administration al Politecnico di Milano: «Volevo migliorare ancora di più la mia formazione, soprattutto nell’ambito della gestione del business e dei gruppi di lavoro internazionali. Dopo l’incarico a Brescia, anche grazie al Master vengo assegnato al corporate come responsabile delle performance in Italia, Grecia e Bulgaria. Un ruolo più gestionale che fino a quel momento mancava al mio curriculum e dal quale ho imparato molto. Poi però ho sentito di nuovo il bisogno di spostarmi, di fare una nuova esperienza all’estero. L’azienda mi ha proposto di andare in Pennsylvania come responsabile di performance dell’impianto, per seguirne il progetto di miglioramento. Ho accettato, l’incarico durava un anno e poi sono diventato responsabile della produzione con un team di 55 persone, prevalentemente americano. L’azienda era stata acquistata dal gruppo tedesco Heidelberg che mi ha offerto di mantenere la stessa posizione. Ho lavorato molto bene, mi sono integrato con facilità e soprattutto, quando tornavo a casa, trovavo la mia famiglia. Fra poco sarà di nuovo così anche qui a Chicago».

Laura Campari, 38 anni, di Seriate, non ci ha pensato due volte a lasciare l’impiego all’ufficio commerciale della Brembo per trasferirsi negli States: «Non è stato facile gestire la famiglia con Joys lontano e devo ringraziare mio padre che in quegli anni mi ha aiutato molto – racconta Laura –. Finalmente però avevamo la possibilità di stare insieme e quella era la cosa più importante. Certo, la preoccupazione era per i figli, l’inserimento a scuola, la lingua, la cultura, le abitudini, ma è stata una bellissima sorpresa. La scuola nuova in Pennsylvania li aveva entusiasmati già dal secondo giorno e partiti da zero, in sei mesi sia Elena che Riccardo erano in grado di colloquiare in inglese con chiunque senza alcuna difficoltà. Mi è dispiaciuto lasciare il mio lavoro ma le cose da fare non mancano mai e tra poco saremo in una nuova grande città tutta da scoprire. In questi due anni i bambini hanno avuto la possibilità di vedere posti meravigliosi, come New York, la California, il Gran Canyon, i parchi nazionali, ma Bergamo manca e non vogliamo che perdano le radici. Appena finisce la scuola torniamo nella casa di Seriate per trascorrere l’estate, rivedere gli amici e i cuginetti e Joys ci raggiunge appena può. Quando è il momento di ripartire si respira un po’ di tristezza nell’aria, ma dura poco perché si sa, i bambini hanno la capacità di scivolare sulle cose e di guardare sempre avanti, in attesa della prossima avventura, che per noi sta per iniziare davvero».

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