Partito da via Tassis
è console a Melbourne

Conoscere contesti diversissimi tra loro. Affrontare situazioni uniche, intrecciando rapporti con le più disparate culture. Poi, muniti di valigia e grande elasticità mentale, cambiare angolo di mondo.

Sintetizzando in un’espressione la sua carriera diplomatica, il quarantenne bergamasco Marco Maria Cerbo afferma come sembri di vivere tante vite in una sola: nell’arco degli ultimi quindici anni ha ricoperto vari ruoli istituzionali a Roma, in Africa, Cina e India, e dal 2013 rappresenta l’Italia come Console generale in Australia, precisamente a Melbourne.

«È un lavoro estremamente affascinante in cui bisogna saper riconoscere le differenze socio-culturali di ogni Paese: riuscire a plasmare la propria giornata intorno a quelle che sono le abitudini locali è una fonte continua di arricchimento – spiega –. Allo stesso tempo si paga un prezzo in termini di radici: non solo quello che ho costruito in un Paese lo perdo all’atto del trasferimento, ma progressivamente ci si allontana anche dal luogo d’origine».

Ed è proprio in un angolo senza tempo come la via Tassis che Marco ha vissuto i suoi primi anni: «Ho un bellissimo ricordo della mia infanzia, passata in parte in Città Alta e in seguito in città bassa. Dopo il liceo Sant’Alessandro, mi sono laureato in Giurisprudenza con indirizzo internazionalistico all’Università Cattolica di Milano, alla quale è seguito un anno all’Istituto di Studi di politica internazionale. Vinto il concorso, ho mosso i primi passi a Roma come Segretario di legazione».

Marco cita entusiasta alcune delle occasioni diplomatiche «storiche» vissute in prima persona: «In qualità di Primo segretario, ad Addis Abeba ho seguito il dossier sul rientro dell’obelisco di Axum da Roma; sempre in Etiopia ho fatto parte di una missione di osservazione elettorale per verificare la regolarità del voto in alcune zone dove i seggi erano raggiungibili solo a piedi, attraverso dei sentieri. Più recentemente, ho anche trascorso parecchio tempo in India a seguire il processo dei Marò». In mezzo, è stata la volta dell’Estremo Oriente, nel ruolo di Console: «Per l’anno dell’Italia in Cina ho contribuito a organizzare alcune iniziative culturali come le mostre sulla civiltà etrusca o gli spettacoli di balletto classico nei più prestigiosi teatri di Honk Hong. È anche la città che mi ha regalato mia moglie: ci siamo conosciuti in un luogo molto romantico come il mio ufficio» aggiunge scherzosamente.

Si parla poi del suo attuale ruolo nella terra dei canguri: «Il Consolato offre vari servizi, il più rappresentativo è il rilascio del passaporto. A ciò, si accompagna l’aspetto di rappresentare l’Italia: oltre ad allacciare legami con le autorità locali, siamo un punto di riferimento dei connazionali per fare impresa, investire e creare partnership commerciali». L’emigrazione italiana è un capitolo importante nella storia australiana recente: «La nostra comunità è imponente: l’ultimo censimento parla di quasi un milione di cittadini aventi origine italiana. I pionieri tricolori giunti a partire dal secondo dopoguerra, hanno avuto un ruolo determinante nel settore costruzioni e agroalimentare. Negli ultimi anni c’è un flusso importante di giovani italiani che decidono di raggiungere l’Australia per un periodo: l’anno scorso ne sono arrivati 25 mila con visti temporanei».

Si ha la percezione di una terra ricca di opportunità: «Abbiamo raccolto storie bellissime: molti connazionali qui hanno trovato la felicità, ma si possono incontrare anche delle difficoltà. Il viaggio va pianificato con cura nei minimi dettagli e, oltre allo spirito di adattamento, serve una certa maturità. Per questo, abbiamo attivato degli strumenti per creare dei legami con i nuovi arrivati; si va dalla libera consultazione di alcune guide pratiche, all’organizzazione di giornate informali con le autorità locali, fino all’apertura di uno sportello all’interno del Consolato da parte dell’associazione “Nomit” che, essendo gestito da ragazzi, facilita di molto il dialogo con i loro coetanei appena “sbarcati” e bisognosi di qualche dritta a tutto tondo».

Creare ponti tra generazioni è anche il modo per restituire l’immagine di un’Italia fatta di tradizione e modernità: «Il discorso è complesso e articolato. Nel bene e nel male gli australiani hanno generalmente un’idea del Belpaese filtrata attraverso gli occhi dei pionieri. Il nostro sforzo è far conoscere l’Italia contemporanea, quella di Renzo Piano e Astro Samantha, delle grandi conquiste nella ricerca e dell’eccellenza agroalimentare. Lo stiamo facendo, favorendo contatti intergenerazionali, creando progetti congiunti, stimolando scambi di carattere culturale e organizzando corsi sulla nostra lingua».

Una monumentale vetrina per farci apprezzare è sicuramente l’Expo 2015: «Lo è per l’Italia, ma anche per gli altri Paesi. Per motivi di risparmio sulle iniziative promozionali all’estero, purtroppo l’Australia ha deciso di non parteciparvi, ma gli enti locali stanno supplendo a questa assenza con una mostra a Milano sugli innovatori di Melbourne, mentre per ottobre stiamo organizzando insieme una missione di imprenditori in visita all’Esposizione universale. Come Consolato, oltre a ritagliarci degli spazi sulla stampa locale, abbiamo promosso due iniziative mirate: “Made of italians” consiste in una serie di facilitazioni per gli australiani di origine italiana in visita, mentre “Expo e territori” è la promozione di una serie di percorsi turistici alternativi, volti a far conoscere al turista medio australiano le attrattive meno “battute”. Un esempio è proprio la città di Bergamo». Si tocca poi l’argomento quotidianità: «Dal punto di vista umano si sta rivelando un’esperienza proficua: Melbourne è una città molto accogliente e giovane, l’età media è di 35 anni ed è strutturata intorno alla vita di famiglia. Nel tempo libero amo esplorare questo Paese tanto diverso con mio figlio piccolo e mia moglie. La maggiore differenza con gli australiani? L’approccio alle regole: si vivono con grande rigidità, a volte dimenticandone il fine. La nostra maggiore flessibilità ci consente di ottenere ottimi risultati».

Non può mancare, infine, un pensiero a Bergamo: «Della città dove si è nati e cresciuti mancano sempre quelle percezioni difficilmente descrivibili a parole: sono sensazioni, odori, colori, suoni. Torno qui ogni estate: scorgere la Torre dei Venti e intravedere il colle di Città Alta è sempre un’emozione. Anche se ad alcuni non piace, per me quella Torre è il segno che si è finalmente tornati a casa».

Essere più vicini ai bergamaschi che vivono all’estero e raccogliere le loro esperienze in giro per il mondo: è per questo che è nato il progetto «Bergamo senza confini» promosso da «L’Eco di Bergamo». Per chi lo desidera è possibile ricevere gratuitamente per un anno l’edizione digitale del giornale e raccontare la propria storia. Per aderire scrivete a [email protected] o cliccate qui.

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