Due metodi

«Abbiamo troppa roba in giro . Dobbiamo fare ordine». Quando pronuncio questa frase - dopo aver lottato a lungo contro me stesso per non farlo - mia moglie alza gli occhi al soffitto e si allontana. È capitato anche che fingesse un’improvvisa crisi di sordità, o che adducesse scuse improbabili, come una imminente e indispensabile visita a un maniscalco.

La reazione non è dovuta a una istituzionale contrarietà, da parte sua, al «fare ordine» in sé, tutt’altro. Il problema è tutto di metodo: il mio concetto di «fare ordine» e il suo non coincidono. Si potrebbe addirittura dire che cozzano e il cozzare di due metodi, di solito, produce disordine, non lo elimina.

Il mio sistema, se lo si può definire tale, è un tantino più emotivo del suo. Prendo il disordine soverchiante come un affronto personale, e immantinente lancio una campagna per la sua eliminazione. Mi avvento contro gli oggetti come una furia e senza pietà riempio sacchi su sacchi . Questo metodo ha i suoi vantaggi - in poche ore qualunque locale può venire svuotato - ma anche qualche effetto collaterale: il ciclone può travolgere oggetti innocenti, utili e a volte perfino indispensabili.

Come avrete già intuito, mia moglie procede invece in modo sistematico. Ciò implica ponderazione e la ponderazione impone lentezza. Devo riconoscere che, nonostante tutto, con il suo sistema i risultati finiscono per vedersi, l’ordine - qui e là - compare, ma a un ritmo troppo lento per i miei nervi esasperati che, per liberarsi del “troppo” vorrebbe addirittura spaventarlo.

Leggo che, secondo uno studio psicologico, l’accumularsi degli oggetti nelle case corrisponde al desiderio di riprodurre in esse la nostra interiorità e l’insorgenza della furia riordinatrice alla constatazione di non esserci riusciti. Questo mi fa pensare che il procedimento cauto di mia moglie sia in fondo più sensato del mio: travolta dalla furia, la mia interiorità rischia di finire dritta nel cestino.

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