La statuina
nel sudario

In casa mia l’operazione è durata in tutto trenta secondi, ma immagino che in altre residenze, popolate da gente meno frettolosa, ci siano volute ore. Mi riferisco allo smantellamento delle decorazioni natalizie, impegno che, quasi una tradizione aggiunta, si colloca nel calendario il giorno dopo l’Epifania.

È il giorno in cui gli alberi di Natale si spogliano dei festoni e dei lustrini come soubrette dopo l’ultimo spettacolo, il giorno in cui le statuine del presepe vengono avvolte una per una nella carta di giornale (a proposito, provate a fare altrettanto con un sito Internet...) e, consuetudine più recente, il giorno in cui tocca convincere Babbo Natale a rinunciare per un anno ancora al suo tentativo di scalata al balcone.

Possiamo considerare questa spogliazione come simbolica, o metaforica: finito il Natale se ne andrà anche il suo spirito? Ce ne sarà rimasto abbastanza da farci confessare che, dietro le candele e gli aghi di pino, abbiamo nascosto più che altro la voglia di camuffare il nostro vivere quotidiano, di abbellirlo senza in realtà trasformarlo profondamente?

Perdonate se mi son fatto prendere da un attacco di sentimentalismo o, peggio, sono scivolato in una sorta di deriva moralista. Il fatto è che pensare alle decorazioni che se ne vanno e soprattutto a quelle statuine ingenue avvolte nei sudari dell’attualità, mi spinge a riflettere su quanto passeggero sia l’attaccamento a valori che, peraltro, dovrebbero essere fondamentali o non essere del tutto. Il lustro, la bellezza e la speranza rappresentate da quegli oggetti se ne vanno in cantina o in garage perché sono stagionali come la neve artificiale di cui li si cosparge.

Ci siamo dimenticati le feste, domani dimenticheremo il loro smantellamento e chissà cos’altro occuperà le nostre teste. Fino a quando, tra dieci-undici mesi, una canzoncina al supermercato ci ricorderà che presto sarà Natale. E questa, se possibile, è cosa ancora più triste di una statuina nel sudario.

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