Se non a tutto

Tra le molte reazioni che il mondo ha prodotto all’annuncio dell’esistenza delle onde gravitazionali, due mi sembrano le più numerose e significative. Reazione numero uno: «Non ci ho capito una mazza». È questo il commento più onesto e, in fondo, più veritiero.

Ben poche persone al mondo, forse alcune migliaia, possono dire di capirci più di «una mazza» nel mondo dell’astrofisica e delle particelle subatomiche. Il resto della popolazione – noi – brancola nel buio e afferra qualcosa qui e là a costo, peraltro, di impegnarsi non poco. Leggere un libro, anche divulgativo, di meccanica quantistica è un’esperienza a tratti extracorporea, un tessuto emotivo intrecciato di noia, meraviglia e mistero in parti uguali. In ogni caso, non c’è problema se, nel dettaglio, abbiamo capito poco: per afferrare la portata dell’avvenimento deve bastarci sapere che gli scienziati hanno visto per la prima volta qualcosa di fondamentale per spiegare la struttura dell’Universo.

Seconda reazione: «Si, vabbè: ma quali saranno le applicazioni pratiche della scoperta?» Questo mi sembra un atteggiamento meno comprensibile. Perché mai, nella frazione infinitesimale di tempo che ci è concesso di vivere, dovremmo godere di benefici pratici portati dalla collisione tra due buchi neri avvenuta un miliardo di anni fa? E poi, che cosa ci aspettiamo di «pratico»? Una connessione Internet più veloce? Un forno a microonde che emetta un suono diverso rispetto a «ding!»? Che Garko riesca a pronunciare la parola «querulo» senza slogarsi l’epiglottide?

Niente paura, le applicazioni pratiche arriveranno. Dopo tutto, la tomografia Pet, presente in tanti ospedali, già sfrutta i positroni, che sono antimateria, non roba in offerta al supermercato. Per il momento, però, godiamoci la scoperta senza pretendere che «serva». Essa non «serve» come non serve un quadro di Piero della Francesca, un sonetto di Shakespeare, una fuga di Bach. Tutto ciò non «serve» a niente, se non a tutto.

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