Marco, in scarpe da ginnastica alla conquista di San Diego

Dopo il differenziale, ora la jeep ha «perso» anche gli ammortizzatori Tramontata la pista cinese, il tour proseguirà sulle strade della Russia

VANCOUVER (CANADA) - Tempo di maratone, in fuoristrada, organizzative e naturalmente in scarpette da ginnastica. Quando l’etiope Ambesse Tolossa ha alzatole braccia al cielo vincendo la «Rock ’n’ roll marathon» di San Diego in 2.10’08", io ero quasi al diciottesimo chilometro e quando la keniota Alice Chelangat ha conquistato il trono femminile in 2.28’21" io avevo appena superato il limite della mezza maratona, ovvero 21 km.

Tempi di valore mondiale, io modestamente (qui a sinistra all’arrivo) vado fiero per aver concluso la prima maratona della mia vita in 5 ore, 29 minuti e 11 secondi (sono 42 km e 195 metri, 26,2 miglia in Usa), in 11.041ª posizione, soprattutto considerando che per due giorni ho praticamente digiunato e non ho dormito per attraversare la Baja California con una maratona su quattro ruote e arrivare a San Diego in tempo (ho avuto problemini al confine tra Messico e Usa di Tijuana - sotto la foto fatta al confine - mi sono iscritto alle 16,58 di sabato, a due minuti dalla scadenza, pettorale numero 23544) e che il mese di preparazione originariamente programmato si è ridotto a quattro sedute di allenamento di circa un’ora l’una sparse qua e là e di due tentativi subito interrotti per scarsità di stimoli.

È stata un’esperienza indimenticabile che ripeterò in futuro, ma allenandomi seriamente. Correre una maratona vuol dire confrontarsi direttamente con le proprie forze e con i propri limiti, non ci sono scappatoie. La mia è stata una maratona scandita da ritmi abbastanza originali, nel senso che mezza maratona l’ho corsa e nella restante mezza ho quasi sempre camminato perché le gambe e i piedi erano a pezzi. Ma non mi sono mai fermato e per i primi 13 km ho mantenuto un’andatura costante.

Per me i 42 km e 195 metri erano una distanza inedita, così non sono stato in grado di gestire le mie risorse. Non ho avuto nessunissimo problema di sete (bevevo moderatamente nei punti di ristoro, soltanto acqua), alimentazione (mi sono limitato a un po’ di uva passa), dolore ai fianchi o al petto, la mia sofferenza si è concentrata esclusivamente negli arti inferiori, ma in definitiva è stata una giornata meno massacrante di quanto pensassi.

Fortunatamente il percorso cittadino era in pianura, la temperatura durante la corsaideale (18-20 gradi; partenza alle 6,30 del mattino) e le rock band che suonavano sui palchi lungo il percorso e le cheerleader hanno dato la carica ai partecipanti.

Molti di loro avevano sulla schiena la fotografia di parenti e amici morti, tra cui diversi soldati, molti di loro hanno corso per beneficienza (raggranellati 10 milioni di euro), molti per dimostrare che il cancro e diverse malattie apparentemene invincibili si possono sconfiggere, come Matt Jones che è sopravvissuto a tre attacchi di leucemia mieloide. Le sue sì che sono conquiste.

Dopo la partenza (qui a sinistra) io ho corso 10 km in un’ora, 18 in due ore, la mezza maratona in 2.25’ e infine sono stato costretto a rallentare. I miei riferimenti erano in miglia, ma parlo in chilometri per agevolare la comprensione; comunque un miglio sono 1,6 km.

Quando mi sono accorto che correndo senza forzare annullavo un km in 6’ e camminando velocemente in 9’ ho deciso che non valeva la pena rischiare il ko. E che avrei corso ancora soltanto nell’ultimo tratto.

Ma dal 32° km il dolore è comparso anche camminando e dal 37° km è diventato molto forte. Anche solo il tentare di correre era diventato impossibile. Eppure, quando l’arrivo distava ormai un km, sentivo l’incitamento del pubblico e ho intuito che - continuando a camminare - non avrei concluso la maratona entro 5.30’, che era diventato il mio obiettivo; non so come, ma ho rimesso le ali ai piedi e ho addirittura sprintato per centrare il tempo di 5.29’11" segnato sia dal mio cronometro, sia dal chip allacciato a una scarpa per il riscontro ufficiale.

Non avevo una goccia di sudore, ma le gambe erano ormai di legno, tanto che alla sera ho rinunciato al concerto di Ozomatli che era gratuito per i maratoneti (l’iscrizione mi è costata 120 euro) e sono crollato a letto. Per due giorni camminare è stata un tortura, ora restano dolorini alle giunture. Con la medaglia-ricordo, il pettorale e la foto dell’arrivo inviatami per e-mail da un’agenzia che ha curato l’evento.

Ma è sempre tempo di maratone. Tramontata la possibilità di avere il visto cinese, nonostante il prodigarsi di «Avventure nel mondo» (avrei potuto aggregarmi da Katmandu, in Nepal, a Pechino, in Cina, a un loro raid che è saltato per scarsità di partecipanti), mi sono tuffato sulla pista russa, l’unica alternativa possibile per salvare il progetto del giro del mondo. E dopo aver riabbracciato a San Francisco (qui a lato) un mio vecchio compagno di liceo, Seattle (due immagini qui sotto sotto) è diventata la mia base operativa.
Ho già avviato le pratiche per avere il visto russo e non si prevede nessuna complicazione, esiste un cargo Seattle-Vladivostok via Corea del Sud (partenza il 4 luglio, arrivo il 7 agosto, avrei un mese esatto per rientrare in Italia), l’ho prenotato e il 26 giugno ci sarà il controllo della dogana Usa. Il guaio enorme è che nemmeno negli Stati Uniti esiste il differenziale anteriore per il mio fuoristrada.

E la situazione intanto è peggiorata perché gli ammortizzatori anteriori e posteriori sono morti, tanto che la polizia mi ha già fermato due volte vedendo che il fuoristradaballava: pensava fossi ubriaco!!! Ma non ci sono nemmeno quelli. Da non credere. E se rientrare in Italia senza differenziale anteriore guidando attraverso la Siberia (e visitando la Mongolia) dovrebbe rivelarsi un’avventura complicata ma possibile, senza ammortizzatori sarebbe una follia, considerati i tratti di strada sterrata. La mia ultima speranza è Vladivostok. Pare che in Russia esistano i pezzi di ricambio, ma attendo di vederli prima di gioire....

Intanto, comunque, ho superato la terza maratona di giugno, ovvero preparare a Seattle i documenti per la trasferta russa in modo da potermi tuffare nella quarta maratona, ovvero Seattle-Alaska-Seattle in dieci giorni (sono circa 7.000 km, ma due tratti spero di godermeli via mare), con l’obiettivo di vedere il sole a mezzanotte nel circolo polare artico il primo giorno d’estate, prima di infilare di nuovo il fuoristrada in un container e volare in Australia via isole Figi e infine a Vladivostok via Corea del Sud o Giappone. Sono a Vancouver, primo giorno di maratona. Ciao, ciao, devo scappare....
Marco Sanfilippo

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