Con il vescovo la preghiera
per chi ha perso il lavoro

«Io sono in cassa integrazione e il mio pensiero maggiore è per i miei tre figli, ma anche per tutti i giovani. Io sono in cassa integrazione ordinaria, per il 2010 non ci sono grandi speranze. Riuscirò a dare ai miei figli la possibilità di finire gli studi, di andare avanti, di potere camminare in questo mondo del lavoro difficile... Un mondo dove è entrata l'idea dell'usa e getta, anche per le persone. Ho visto giovani del Sud venire in fabbrica, stare con contratti di tre, sei mesi, un anno. E poi restare senza occupazione e partire per la Germania... Che futuro hanno questi ragazzi? Come potranno mettere su famiglia?».

La testimonianza di due lavoratori in cassa integrazione, le parole del vescovo Francesco Beschi, i canti, le preghiere, le letture dei testi sacri in questa veglia di preghiera diocesana che ha raccolto trecento persone nella chiesa di San Giuseppe artigiano a Seriate, ieri sera. Iniziativa della Diocesi, dell'ufficio per la pastorale sociale, in collaborazione con le Acli e la parrocchia di Seriate. Una chiesa disadorna, essenziale, un'architettura austera, nata negli Anni Sessanta. «Viviamo strani giorni – è stato detto in apertura della veglia –. La sensazione di disagio e di confusione di questo tempo è dentro il cuore di ciascuno. Le trasformazioni del lavoro accompagnate alla crisi rendono ancora più incerto il nostro vivere quotidiano. Da cristiani questa sera ci siamo ritrovati insieme, innanzitutto per testimoniare che siamo "discepoli di un figlio di falegname" e quindi crediamo che tutto quanto riguarda l'uomo e il suo lavoro ci sta a cuore come credenti in Gesù». Le parole dei lavoratori in cassa integrazione.

La pesante vicenda della Frattini di Seriate, delle tante piccole aziende che hanno chiuso o sono lì in bilico e nessuno lo sa. Le parole del vescovo Beschi, forti, appassionate che hanno commentato la parabola del buon samaritano che si ferma a raccogliere l'uomo ferito sul ciglio della strada. Ha detto il vescovo: «È sempre impressionante ascoltare questa parabola... Chi è il mio prossimo, chiede il maestro della legge incontrato da Gesù. Tutti noi poniamo questa domanda: di chi devo farmi carico? Fino a che punto devo farmi carico? Qual è il confine della mia responsabilità? Gesù non risponde con un'idea, con un teorema. Risponde con una storia così vera che siamo qui ancora ad ascoltarlo... All'inizio siamo solo spettatori di questa storia, siamo sul ciglio della strada, vediamo passare i personaggi di questa storia... Ma sono come specchi che riflettono la nostra immagine... Alla fine la domanda diventa: chi si è fatto prossimo di quell'uomo? Essere prossimo è una scelta, è un modo di essere ancora prima che di fare... Gesù ci dice che cosa dobbiamo fare... Dobbiamo fare la giustizia. Dobbiamo interrogarci sulla giustizia che è il primo passo della carità, scrive Papa Benedetto XVI citando Paolo VI...».

«Siamo preoccupati per i posti di lavoro, siamo preoccupati per il posto dell'uomo». Il vescovo ha richiamato alla sensibilità, al non abituarci alle brutture, all'ingiustizia. Ha detto: «Sono impressionanti le cifre di quanti perdono il lavoro oggi nel nostro mondo... Bisogna vedere, bisogna aprire gli occhi». E bisogna riscoprire la compassione, ha detto il vescovo. Ma non come pietismo di maniera. «La compassione, parola attribuita a Dio, indica che Dio stesso avverte dentro una gran rabbia per il male, per l'ingiustizia, per il peccato... Stiamo abituandoci a tutto, non ci arrabbiamo neanche più... Una gran rabbia, altro che melensa compassione, non una rabbia distruttiva, ma una rabbia che diventa un amore coraggioso...». Preghiamo per noi, ha detto il vescovo, per le nostre famiglie, per i nostri paesi, per lavoratori e imprenditori, per questi azionisti anonimi che alla fine dell'anno ritirano la cedola dell'utile e non sanno a che prezzo la si stacca la cedola...

© RIPRODUZIONE RISERVATA