La vedova del poliziotto ucciso:
«Il film su Vallanzasca? Un errore»

«È un errore fare un film su un personaggio che sta scontando 260 anni di carcere per rapine, sequestri e omicidi: dovrebbe pagare i suoi debiti circondato dal silenzio, invece, come è già successo tantissime altre volte, viene messo sotto i riflettori». È amareggiata Gabriella Vitali D'Andrea, la moglie del poliziotto della stradale Luigi D'Andrea che il 6 febbraio del 1977 al casello autostradale di Dalmine fu ucciso insieme al collega Renato Barborini dalla banda di Renato Vallanzasca.

Nelle scorse settimane i giornali e le tv hanno dato notizia che è in lavorazione il nuovo film di Michele Placido intitolato «Il fiore del male» sulla storia di Vallanza, interpretato nella pellicola da Kim Rossi Stuart. La moglie del poliziotto ucciso non condivide la scelta di realizzare un'opera cinematografica su quella che lei considera una ferita ancora aperta, nella storia d'Italia e nella sua storia personale.

«Cosa ho pensato quando l'ho saouto? Non mi ha fatto piacere - dice la signora D'Andrea nell'intervista che L'Eco di bergamo pubblica nell'edizione del 5 febbraio -. Credo che non sia giusto dare visibilità a persone che coi loro reati hanno provocato tanta sofferenza. Per i familiari delle vittime ogni volta che viene dato spazio a questi personaggi è come rivivere momenti terribili. Inoltre si lancia un messaggio sbagliato alle nuove generazioni: si dà l'impressione che chi compie crimini orrendi alla fine non paghi i suoi debiti fino in fondo. Quando uno uccide dovrebbe scontare la sua pena in silenzio, non finire su tv e giornali per ogni cosa che fa o addirittura diventare come in questo caso il soggetto di un film».

Tutta l'intervista su L'Eco di Bergamo del 5 febbraio

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