800 famiglie nella Bergamasca
al di sotto della soglia di povertà

La povertà, quella materiale in cui non si hanno risorse per comprare da mangiare, per pagare un affitto o per coprire interamente le spese finanziarie, è una realtà anche a Bergamo. Per molti anni il benessere diffuso aveva portato a collegare la mancanza di mezzi a qualcosa di lontano dal nostro territorio, ma la crisi economica fa sentire i suoi morsi anche nella Bergamasca.

L'11,9% delle famiglie incontrate in un anno di esperienza al Fondo famiglia lavoro (attivato dalla diocesi, dalla Caritas diocesana bergamasca, dalla Fondazione Mia e dalla Banca Popolare di Bergamo) hanno vissuto esattamente 12 mesi senza alcun reddito. E sette su dieci dei capifamiglia incontrati hanno a disposizione per il loro nucleo (composto da più figli) meno di mille euro al mese per tirare avanti quando il tetto minimo di spesa effettiva per una famiglia italiana è stato individuato in un minimo di 1.300 euro mensili. In sostanza ci sono almeno 800 famiglie in Bergamasca che vivono al di sotto della soglia di povertà.

Sono 1.049 infatti le famiglie aiutate in un anno dal Fondo famiglia lavoro che ha raggiunto approssimatamente quindi quasi 5.000 bergamaschi che si sono trovati spazzati via dal mercato del lavoro per la precarietà dei contratti a termine che avevano stipulato, per la fine della cassa integrazione o per il licenziamento a causa della crisi economica (il 36,2%).

Il Fondo era stato attivato a livello provinciale su imput dell'allora vescovo Roberto Amadei e su esempio della diocesi di Milano, poi sostenuto a livello locale dalla Fondazine Mia, dalla Caritas diocesana bergamasca, dalla Banca Popolare di Bergamo e dalla Fondazione della comunità bergamasca onlus. Ma anche da tante parrocchie e da 270 sacerdoti che, su invito del nuovo vescovo Francesco Beschi, hanno devoluto parte del loro stipendio per chi ha perso il lavoro.

In tutto è stato creato un Fondo che ha raggiunto quota un milione e 336.964 euro (di cui circa 630 mila euro messi in campo da parrocchie, sacerdoti e privati cittadini) e che si sta velocemente assottigliando: oltre il 30% infatti è già stato redistribuito in forma di buoni spesa o per pagare le bollette, forme di microcredito e in alcuni casi progetti di reinserimento lavorativo.

I dati, presentati sabato in occasione del convegno «Un anno di prossimità. L'esperienza bergamasca del fondo famiglia lavoro» promosso da Caritas con le Acli, la Diocesi, Mia e Comune di Bergamo, ha riportato anche l'esperienza dell'analogo Fondo istituito a livello cittadino (sempre con Caritas e Fondazione Mia). Se si tiene conto che chi ha chiesto aiuto al Fondo è una minima parte di chi probabilmente versa in una situazione di difficoltà a causa della crisi economica (i criteri infatti prevedevano comunque di aiutare chi fosse in maggiore difficoltà e non avesse altri posti in cui bussare) ne emerge uno spaccato di almeno 800 persone (con relative famiglie alle spalle) che vivono al di sotto della soglia di povertà.

«L'11,9% non ha avuto entrate di nessun genere per tutto un anno - ha spiegato Marco Zucchelli, della Caritas presentando i dati -, il 34,8% ha guadagnato fino a 6.000 euro e il 36,4% tra i 6 e i 12 mila euro. L'identikit di chi si trova in questa situazione è in prevalenza composto da: uomini tra i 30 e i 45 anni, coniugati e con più figli. Operai, muratori, addetti alle pulizie rimasti in quattro casi su dieci senza alcun tipo di contratto».

E l'assessore alle Politiche sociali del Comune di Bergamo, Leonio Callioni ha sottolineato come in città, stia avanzando la presenza, tra chi è al di sotto della soglia di povertà, di molti giovani professionisti impiegati nei servizi, che si aggiungono ai numeri allarmanti del Fondo. Delle famiglie aiutate dal Fondo provinciale (693, mentre 356 sono registrate dal fondo cittadino), il 77,3% sono stranieri e 157 italiani.

«Degli stranieri va detto che i più colpiti sono quelli che in questi anni avevano raggiunto una relativa stabilità nel nostro Paese in termini lavorativi, di casa, ricongiungimento famigliare: per loro essere da un anno senza lavoro significa anche perdere i diritti di cittadinanza. Per gli italiani, se la rete parentale e amicale ha fatto da salvagente in molte situazioni, è pur vero che la famiglia risulta essere molto più frammentata: in difficoltà infatti in due casi su dieci ci sono famiglie monogenitoriali con più figli, vittime di separazioni e divorzi».

Se in un primo momento il tipo di aiuti previsti era soprattutto in forma di microcredito si è visto, con il passare del tempo, che in realtà chi chiedeva aiuto non era nella condizione di garantire un ritorno economico di qualsiasi forma di prestito: in corso d'opera hanno così preso il sopravvento altri tipi di sostegno. In particolare la somministrazione di buoni spesa per gli alimenti (nel 59,9% dei casi), ma anche per pagare le bollette, forme di microcredito (nel 6,2%) e dove possibile di reinserimento lavorativo (3,9%).

In alcuni casi non è stato possibile intervenire con gli strumenti del fondo ma le persone sono state indirizzate agli altri servizi della Caritas. C'è anche una percentuale di persone che tra i bisogni primari - cibo, affitto, lavoro - ha dichiarato grossi problemi per pagare le cure sanitarie: il 15,9% degli italiani infatti non riesce a coprire le spese mediche. «In difficoltà sono soprattutto gli invalidi – ha concluso Zucchelli – nel pagare le spese dell'acquisto di protesi, per l'adeguamento delle barriere architettoniche, per i farmaci e l'assistenza».
 Elena Catalfamo

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