«Io, il sesto, avevo tre anni e mezzo; non ricordo nulla di lei, ricordo solo un tavolo con una lunga tovaglia bianca ricamata, posto sotto il portico, così si chiamava quello spazio al piano terra tipico delle case contadine, dove la sera ci si incontrava per giocare, per cantare e per pregare. Era il giorno del funerale, mi dissero, e su quel tavolo posero la bara di mia madre prima di essere portata in chiesa. Forse non ricordo nulla anche perché i miei primi anni di vita sono stati di sofferenza; una volta cresciuto, mio padre più volte mi raccontò quel periodo».
«Avevo pochi mesi di vita quando mia madre si accorse che la mia spalla sinistra era molto più bassa dell'altra e da un controllo medico mi fu riscontrata una grave malformazione alla colonna vertebrale, così ebbe inizio una lunga serie di ingessature, una dopo l'altra per quasi due anni, senza riscontrare significativi miglioramenti».
«Così i medici decisero di ingessarmi per l'ultima volta, anche per mettere fine al lungo calvario. Durante quei periodi di sofferenza e di pianti, mia madre mi teneva sempre accanto, giorno e notte mi raccontava mio padre, pur non essendo l'unico a cui badare poiché c'erano cinque figli prima di me e la settima era nel suo grembo».
«Avevo circa 16 anni quando mio padre un giorno, con le lacrime agli occhi, mi raccontò questo particolare: mia madre, prima di portarmi in ospedale per rimuovere l'ultima ingessatura, mi portò nella chiesa di San Carlo Borromeo a Spinone, dove rimase due giornate intere a pregare davanti alla statua del santo».
«Quando il giorno seguente mi fu rimossa l'ultima ingessatura, i medici constatarono la completa guarigione. Nella mia vita non ho mai voluto approfondire di quale patologia si trattasse, ma sono cresciuto portando dentro di me un profondo rimpianto e un sogno: il rimpianto è quello di non avere avuto il tempo per abbracciarla, viverla e ringraziarla per tutto quello che mi ha dato, oltre che per il dono della vita; il sogno è il desiderio di vedere anche solo una piccola parte di lei, di toccarla e accarezzarla».
«Oggi quel sogno si è compiuto: dopo 58 anni è stata esumata la tomba della mia amata mamma e quando la terra ci ha generosamente restituito diverse parti del suo corpo, ho accarezzato e rivisto quel volto mirabile che ho sempre immaginato, il suo volto pieno di dolcezza e di bontà, i suoi occhi neri profondi e un sorriso accennato. Come scriveva Gibran, amare significa anche avere una preghiera di lode al mattino per la persona amata e di ringraziamento alla sera per aver vissuto attimi preziosi durante la giornata: grazie, Signore, per avermi donato questo giorno unico, perché oggi, per la prima volta, ho visto mia madre».
Il tuo amato Bruno
© RIPRODUZIONE RISERVATA