Immigrazione, per 6 cattolici su dieci
favorisce l'aumento della criminalità

Il 60,2% dei cattolici impegnati nelle realtà parrocchiali della Bergamasca ritiene che la presenza di immigrati favorisca l'aumento di criminalità. Questa è solo una delle considerazioni di uno studio approfondito nelle comunità parrocchiali.

Il 60,2% dei cattolici impegnati nelle realtà parrocchiali della Bergamasca ritiene che la presenza di immigrati favorisca l'aumento di criminalità, contro il 35,76% che non lo ritiene. Tuttavia uno su due afferma che gli stranieri portano un arricchimento culturale, mentre un'altra metà (47%) opta per risposte negative, in cui si afferma che con gli immigrati si sviluppano due mondi non comunicanti, la perdita dell'identità italiana, mentre un buon numero è indifferente al fenomeno. Un dato che non va lontano dalla percezione italiana, dove 8 su 10 provano paura verso l'immigrazione, e da quella europea (6 su 10).

Questa è solo una delle considerazioni che emergono dalla mole di dati raccolte in uno studio approfondito sulla percezione del fenomeno dell'immigrazione all'interno delle comunità parrocchiali. Il tutto è stato raccolto dall'indagine «La percezione dell'altro» promossa da Caritas diocesana e Segretariato Migranti della diocesi di Bergamo, presentata alla Casa del Giovane dall'antropologa Chiara Brambilla dell'Università di Bergamo e dal sociologo Marco Zucchelli della Caritas bergamasca, a cui hanno partecipato anche il direttore della Caritas Bergamo, don Claudio Visconti, il direttore del Segretariato Migranti don Massimo Rizzi, e in veste di relatori il direttore della Fondazione Migrantes della Cei, monsignor Giancarlo Perego e il vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi.

La maggioranza degli intervistati accetta gli immigrati nel mondo del lavoro, considerati necessari soprattutto in alcuni comparti produttivi. Una parte consistente degli intervistati che appartengono alla categoria degli operai (27,4%) e degli studenti (18,8%), però, crede che la loro presenza possa essere controproducente: una risposta dettata da diverse ragioni, tra cui la condizione lavorativa precaria a cui sono soggette queste due categorie.

Per conoscere nel dettaglio tutto lo studio leggi L'Eco di Bergamo del 31 ottobre

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