Silenzio stampa su Yara
Aderiamo, ma a malincuore

Aderiamo alla richiesta della famiglia Gambirasio di far calare il silenzio stampa sul caso di Yara, pur senza nascondere che lo facciamo a malincuore. Avremmo preferito continuare a tenere informata l'opinione pubblica e la popolazione bergamasca. Leggi l'editoriale del direttore Ettore Ongis

Aderiamo alla richiesta della famiglia Gambirasio di far calare il silenzio stampa sul caso di Yara, pur senza nascondere che lo facciamo a malincuore. Avremmo preferito continuare a tenere informata l'opinione pubblica e la popolazione bergamasca sugli sviluppi di questa tristissima vicenda, e di farlo con la misura, l'attenzione e la partecipazione con cui abbiamo cercato di seguirla in questi 50 giorni.

Da lunedì sia sul giornale che sul sito internet non daremo più notizie relative all'inchiesta - a meno che non si venga a conoscenza di una svolta nelle indagini - limitandoci a riferire di iniziative pubbliche o di testimonianze di affetto e solidarietà che sappiamo essere in programma nei prossimi giorni.

La scelta della famiglia, condivisa dalle autorità di Brembate Sopra e dagli inquirenti, scaturisce da un giudizio negativo su come una parte dell'informazione, e in particolare quella televisiva, ha trattato (purtroppo in molti casi maltrattato) le poche notizie su Yara, la comunità di Brembate e alcune realtà chiamate in causa anche se totalmente estranee ai fatti.

Ci sono stati colleghi che hanno diffuso informazioni infondate, seminato sospetti, elaborato teoremi, col rischio reale di intralciare le indagini degli inquirenti. Sotto accusa sono soprattutto certi programmi di informazione-intrattenimento nei quali, in assenza di notizie, troppo spesso sono prevalse le chiacchiere ripetute all'infinito.

Comprendiamo dunque la stanchezza di un paese che da 51 giorni vive con i riflettori puntati in faccia. Dal canto nostro, per quanto possibile, abbiamo cercato, anche partecipando ad alcuni di questi programmi, di stare ai fatti e di ridimensionare le fantasie.

Nell'assecondare la richiesta di silenzio, ci permettiamo però di fare presente alcune questioni. Innanzitutto abbiamo l'impressione che non basterà un appello a fermare i media. Il rischio potrebbe essere, paradossalmente, quello di lasciare il campo libero a chi fa un giornalismo senza tanti scrupoli, a danno di quanti invece lavorano con coscienza e rigore professionale.

C'è solo un antidoto al cattivo giornalismo, ed è il buon giornalismo. In secondo luogo, l'attenzione della stampa se da un lato rischia di essere troppo invadente, dall'altro può contribuire a non far abbassare la guardia su una vicenda che ha avuto un forte impatto sulla vita di tutti.

Ecco perché ci sembra eccessivo il perentorio invito degli amministratori a sgomberare il suolo pubblico di Brembate. Quello che non vorremmo si verificasse, è che il silenzio stampa, con l'andare del tempo, diventasse silenzio tout court. Questo sì che sarebbe grave.

Ettore Ongis

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