Il vescovo e il paradosso dell'educare:
speranza, libertà e legàmi uniti tra loro

Cosa lega tra loro la leggerezza della speranza e il peso della responsabilità, il bisogno di essere liberi e la necessità di tessere legàmi indissolubili, la fiducia e la fedeltà, uno imbroglio dell'altro se non si alimentano vicendevolmente?

Cosa lega tra loro la leggerezza della speranza e il peso della responsabilità, il bisogno di essere liberi e la necessità di tessere legàmi indissolubili, la fiducia e la fedeltà, uno imbroglio dell'altro se non si alimentano vicendevolmente? A tenere insieme tutto questo paradosso è l'affascinante tema dell'educazione, spiegato con ironia e arguzia, unita ad un'illuminante profondità di pensiero, dal vescovo di Bergamo, Francesco Beschi, protagonista con il preside della Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bergamo, Ivo Lizzola, dell'incontro inaugurale del percorso educativo offerto dal Centro culturale “Cittadini” di Ponte San Pietro (emanazione dell'omonima scuola elementare) alla comunità bergamasca.

In un cineteatro «San Pietro» tutto esaurito, monsignor Beschi e il professor Lizzola sono riusciti a catturare l'interesse della platea per oltre due ore, dialogando con apparente leggerezza sul ruolo decisivo dell'educazione «per transitare dall'oggi immobile al domani evolvente», così come indica il documento della Conferenza Episcopale Italiana «Educare alla vita buona del Vangelo», che disegna gli orientamenti pastorali dell'episcopato e l'impegno di tutta la Chiesa per il prossimo decennio.

Il tema dell'educazione – ha osservato il vescovo – affascina perché ha a che fare con un'essenziale dimensione della vita, quella della speranza, perché se è vero che è molto difficile essere disperati, non è sufficiente non esserlo per poter nutrire e trasmettere realmente speranza. E sebbene l'uomo abbia sempre vissuto di speranze - quante volte finiamo i nostri discorsi dicendo «speriamo»? -, oggi si fatica a sperare perché non si hanno più delle buone ragioni per farlo o comunque, se ci sono, ci sfuggono.

Se nella frenesia del giorno d'oggi gli adulti si sono «attrezzati alla sopravvivenza», i nostri figli non lo sono, e guardano al mondo degli adulti timorosi e titubanti, chiedendosi se la vita sia veramente quella che noi rappresentiamo loro, e interrogandosi se, allora, valga la pena di viverla. Se l'adulto si adatta a qualche piccola speranza, i bambini no, e il disagio che s'instaura inevitabilmente in questa dimensione non aiuta a crescere.

Anche la responsabilità, in ultima analisi, prende il nome di speranza: nel dire educazione - ha sottolineato monsignor Beschi - sentiamo tutto il peso del dovere, e questo ci può spaventare, ma la dimensione e la bellezza dell'educazione le si percepiscono se messe in relazione con la speranza che le incarna, perché vuol dire «dare» e «donare» - a se stessi e agli altri, in un mondo in cui siamo divorati dal presente - un futuro degno di essere vissuto sino in fondo.

Certo è, come ha spiegato Lizzola, che oggi educare spaventa tutti, a cominciare dagli educatori, perché mettersi a disposizione degli altri rischia di essere percepito - dall'educatore stesso - come un limite che impaurisce. Forse oggi la scuola «attrezza» i giovani alla vita, ma non li educa alla vita, ed è ben diverso. «Se fossimo convinti della bellezza della vita, la doneremmo più volentieri - ha osservato Lizzola -, persino con più dissennatezza!». E invece, senza più entusiasmi, l'Italia - e l'Europa - invecchiano, lasciando ai Paesi in via di sviluppo il vigore della gioventù.

Ma nei confronti dei propri figli - ha ammonito il vescovo -, l'adulto ha il dovere «di continuare a cercare», proprio «perché l'insulto più grave che possiamo fare alla vita non è la malvagità, ma la banalità». E sui fatti essenziali della vita, l'adulto deve saper dare delle risposte: «non deve saper parlare, ma farsi capire sì, come hanno fatto i nostri padri».

Perché, allora, ogni volta, bisogna ripartire da capo? E cosa c'entra in tutto ciò la libertà? La risposta viene da Papa Benedetto XVI - ha ricordato monsignor Beschi - che ha spiegato lo straordinario paradosso dell'educazione, dove bisogno di libertà e necessità di stringere legàmi forti vanno di pari passo. L'educazione ha sempre a che fare con la libertà, non solo quella di chi si deve educare, ma anche con la propria. Ma la libertà si nutre di legàmi, perché altrimenti è solitudine. La libertà si nutre di legàmi, l'educazione è un legàme unico e i legàmi sono necessari, ed è proprio dentro questo paradosso che si diventa uomini. Perché la libertà, ha sottolineato Lizzola, è anche scoprire a cosa si è chiamati, a scoprire la propria vocazione.

L'educazione non è tanto una questione di parole, ma di esempi concreti, anche se nell'esempio c'è un «limite», che sta appunto nel dover dare un esempio reale e convincente: «il buon esempio non deve essere una sacra rappresentazione…». Ecco perché, secondo monsignor Beschi, nella testimonianza c'è qualcosa in più. La testimonianza non rimanda solo a se stessi, ma al valore cui si ispira la propria vita, che a volte può essere persino contraddittoria, ma che continuamente ricomincia e si rinnova nel valore cui fa riferimento. Per un credente, questo non è più soltanto un «semplice» valore, ma Dio stesso, ed è proprio questo «valore» che il credente che educa deve far scoprire a chi vuol educare.

Alberto Ceresoli

Nell'audio allegato ascolta l'intervista al Vescovo di Bergamo, monsignor Francesco Beschi

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