Treviglio, chiude l'università
Il sindaco rilancia il «no profit»

Non una sconfitta, ma uno spunto per rilanciare, sotto una nuova veste, la presenza universitaria a Treviglio. La città della Bassa legge così la decisione di chiudere, dopo sette anni, il corso di Economia aziendale ospitato nei locali della Cassa rurale.

Non una sconfitta, ma uno spunto per rilanciare, sotto una nuova veste, la presenza universitaria a Treviglio. La città della Bassa legge così la decisione di chiudere, dopo sette anni, il corso di Economia aziendale ospitato nei locali della Cassa rurale.

Un rilancio soprattutto in vista dei futuri cambiamenti infrastrutturali che, nei prossimi anni, caratterizzeranno il territorio della pianura bergamasca occidentale.

«Questo non vuol dire che Treviglio abbia chiuso con l'università – tiene a precisare il sindaco Ariella Borghi –. Nella nostra città intendiamo infatti qualificare la presenza dell'Università attraverso la specializzazione, per la precisione nel settore dell'Economia no profit».

A Treviglio l'Università di Bergamo era presente dall'anno accademico 2004-2005, grazie a un accordo tra il Comune, l'Ateneo e la Banca di credito cooperativo, con l'obiettivo di decentrare un corso da Bergamo e avvicinarlo alla pianura, richiamando così gli studenti del territorio trevigliese (città e hinterland), molti dei quali preferivano frequentare l'università a Milano piuttosto che a Bergamo, anche per una questione di comodità negli spostamenti (da Treviglio in treno è più comodo andare a Milano che a Bergamo).

Forse, però, il progetto non ha ingranato quanto ci si aspettava: «Sono convinto che il territorio, dalle istituzioni alle scuole, ci abbia creduto troppo poco perché si è continuato a preferire Milano – sottolinea Gianfranco Bonacina, presidente della Cassa rurale e tra i promotori della sede universitaria trevigliese –. Io sono convinto che la professionalità non derivi dal fatto di studiare a Milano o a New York. Abbiamo eccellenze anche nella nostra zona».

Tutti i dettagli e i commenti su L'Eco di Bergamo del 28 gennaio

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