Il caso dei profughi
«Emergenza dimenticata»

La denuncia del direttore della Caritas diocesana, don Claudio Visconti. «Ad un anno ancora nessun  progetto per il loro futuro». E da sei mesi non arrivano più fondi dal Governo.

Il futuro dei profughi dalla Libia deve diventare una priorità dell'agenda politica. Tra poco meno di sei mesi (il 31 dicembre) infatti scade la convenzione per l'accoglienza nelle strutture alberghiere e caritative e, a un anno di distanza dai primi arrivi, ancora nulla si sa del futuro di 310 persone accolte in Bergamasca.

Che la situazione dei profughi sia una delle tante «emergenze dimenticate» viene confermato anche dal fatto che da gennaio le strutture preposte all'accoglienza non vedano più un euro dallo Stato. A denunciarlo è la Caritas diocesana bergamasca, che accoglie gran parte dei profughi (207) in convenzione con il soggetto attuatore (la Prefettura di Milano). Altri, come quelli di Bianzano, sono accolti in alberghi o altri enti no profit in maniera autonoma.

«Condanniamo qualsiasi episodio di violenza – commenta Bruno Goisis, responsabile della cooperativa Ruah, che ha messo in campo con la Caritas 24 operatori, mediatori e tecnici per l'accoglienza – come quello accaduto a Bianzano. Si tratta però di un caso isolato: nelle nostre strutture di accoglienza per esempio non abbiamo avuto nessun tipo di problema. L'impellenza di trovare delle strutture alloggiative ha portato forse a utilizzare centri non attrezzati all'accoglienza dei profughi. Noi abbiamo messo in campo un team di 24 operatori e mediatori, abbiamo dato assistenza medica, proposto corsi di italiano e borse lavoro. Ho avuto modo di parlare con i profughi di Bianzano e non sapevano neppure l'italiano. Forse chi li ha accolti non ha puntato molto sull'integrazione. Va considerato che sono persone fuggite da una guerra, stressate da un anno di inattività: magari semplicemente preparare i profughi a questo nuovo trasferimento avrebbe potuto evitare che la situazione degenerasse».

«Ora pensiamo al loro futuro» Don Claudio Visconti, direttore della Caritas diocesana bergamasca, cerca di andare oltre il caso specifico e pone alcune questioni aperte che sono state sottoposte anche all'attuale ministro dell'Interno, Annamaria Cancellieri: «Quello che ci preoccupa – spiega – è il futuro di queste persone. Ci chiediamo che prospettive dare loro per guardare avanti: una questione aperta è quella dello status giuridico. Si è deciso di adottare la richiesta di protezione internazionale che comporta un iter molto lungo, con un tasso di diniego tra il 60 e l'80% e conseguenti ricorsi. Questo aggrava ancor di più la condizione di precarietà di queste persone. Per molti si profila la caduta nella clandestinità e, come sappiamo, la disperazione porta purtroppo a cadere nell'illegalità».

Meglio dunque pensarci prima «per esempio – propone don Visconti – con il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari che alleggerirebbe la situazione». E don Visconti auspica che le scelte vengano prese al più presto: «Penso a scelte realistiche: molti profughi vogliono restare qui, altri vorrebbero tornare in Libia in cui lavoravano come emigranti. Pochi vogliono rientrare nei Paesi di origine. Va anche considerato che qui la crisi non aiuta: in questi mesi siamo riusciti ad attivare solo una ventina di borse lavoro. Si potrebbe pensare a percorsi personalizzati per rimpatri guidati in Libia o nei Paesi di origine, oppure per chi resta prevedere forme di ospitalità diffusa sul territorio o iniziative di formazione professionale, l'istituzione di doti per l'autonomia».

Manca un milione e mezzo di euro Un altro fronte aperto è quello dei ritardi nei rimborsi dallo Stato fermi da gennaio. La Caritas ha un debito di un milione e 500 mila euro. «Per ora li abbiamo anticipati noi – spiega don Visconti – ma siamo fiduciosi che la Prefettura di Milano si attivi per risolvere la situazione. La nostra Prefettura di Bergamo ci sta dando grande supporto in questo».

Elena Catalfamo

© RIPRODUZIONE RISERVATA