Mons. Gualberti e la Chiesa in Bolivia
«Il nostro impegno è sotto attacco»

La parola d'ordine in Bolivia è «descolonizar», ovvero fare piazza pulita di 500 anni di storia per valorizzare la natura indigena delle 36 culture originarie, specialmente la quechua e aymara. Mons. Gualberti: «Il nostro impegno è sotto attacco».

La parola d'ordine in Bolivia è «descolonizar», ovvero fare piazza pulita di 500 anni di storia per valorizzare la natura indigena delle 36 culture originarie, specialmente la quechua e aymara. In questo quadro perseguito in sette anni di governo di Evo Morales anche la Chiesa boliviana è stata messa alla porta.

Monsignor Sergio Gualberti, oggi arcivescovo coadiutore di Santa Cruz, una diocesi da due milioni di abitanti in continuo fermento ed espansione, cerca di fare il punto sulla presenza della Chiesa in America Latina negli ultimi 50 anni e in particolare sul senso della missione bergamasca senza sottrarsi a una lettura socio politica della Bolivia oggi.

«Le relazioni tra Stato e Chiesa in questo momento non sono delle migliori – ammette monsignor Gualberti – perché il governo ha perseguito un cammino verso il cosiddetto “Socialismo del XXI secolo”, proclamato e promosso in America Latina da Hugo Chavez, presidente del Venezuela. La parola d'ordine è descolonizar, ovvero far emergere la natura indigena cancellando di fatto tre secoli di storia coloniale e due di vita repubblicana. E in questa storia si ingloba anche la Chiesa sottoponendola a riserve e anche a qualche attacco. Associare però la Chiesa alla storia coloniale significa misconoscere quello che ha fatto per la Bolivia: la chiesa qui si è impegnata sempre per la promozione umana, in modo particolare in favore dei più poveri. Inoltre ha contribuito nel recuperare e rafforzare la democrazia nei tempi delle dittature e delle democrazie fragili e soprattutto ha svolto una grande opera in favore della società con un impegno per migliorare le condizioni di vita dei settori più vulnerabili, la salute, l'educazione. Questo servizio non ci viene riconosciuto e non ci sono canali di comunicazione aperti tra lo Stato e la Chiesa: quello che vorremmo è riprendere a lavorare insieme per i poveri».
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Monsignor Gualberti ha concelebrato nella chiesa della «Ciudad de la Alegria» e ha ricevuto in dono dal vescovo Francesco Beschi la Croce pettorale di San Procolo come quella custodita nel Museo della Cattedrale di Bergamo.

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