Botteghe storiche in estinzione
Il lungo addio alla Corsarola

La fotografia è impietosa. Tra Colle Aperto e piazza Mercato delle Scarpe, su 109 esercizi, le rivendite d'abbigliamento sono 24, i bar 18 e i ristoranti 14, mentre gli alimentari – tanto per stare sulle attività di vicinato – sono solo 5. Bye bye vecchie botteghe.

La fotografia è impietosa. Tra Colle Aperto e piazza Mercato delle Scarpe, su 109 esercizi, le rivendite d'abbigliamento sono 24, i bar 18 e i ristoranti 14, mentre gli alimentari – tanto per stare sulle attività di vicinato – sono solo 5. Bye bye vecchie botteghe.

E questo si sapeva. Città Alta non è più quella di un tempo, i cambiamenti sono stati drastici negli ultimi vent'anni - ed è questo il tema che nelle ultime settimane ha animato un dibattito piuttosto vivace -, ma forse proprio il commercio, più di altri indicatori, merita di essere osservato con attenzione.

Perché le vetrine, la tipologia dei negozi, sono anche lo specchio di profondi cambiamenti sul fronte sociale. Come dire: meno esercizi tradizionali, meno residenti storici, sempre più «Luna park», tanto per utilizzare un'immagine di moda.

Non a caso, la Giunta Tentorio, subito dopo il suo insediamento, aveva cercato di mettere mano alla questione, facendo leva su una normativa regionale – la legge 9 del 2009 – che consentiva ai Comuni di fissare alcuni paletti anche sul piano commerciale, per tutelare le «zone storico e artistiche di pregio ai fini della salvaguardia dell'ambiente originario».

Un regolamento, insomma. Con l'obiettivo di favorire attività in linea con lo stesso contesto. A che punto è? «Proprio in questi mesi – spiega l'assessore al Commercio Enrica Foppa Pedretti – stiamo portando avanti le consultazioni in Regione affinché le decisioni che intendiamo prendere a favore delle attività più vicine alla esigenze del centro storico non contrastino con le norme sulle liberalizzazioni. Bisogna evitare il modello San Marino che, anche a livello turistico, si è rivelato controproducente. Il mordi e fuggi non paga, bisogna puntare a flussi qualificati che rafforzino l'identità dei luoghi».

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