Join venture con l'Università
Il rettore: «Operazione futuro»

«Un progetto del genere è altamente innovativo, sia negli obiettivi che nelle modalità». L'Università di Bergamo è partner prestigioso de L'Eco Lab «e con piena convinzione» spiega il rettore Stefano Paleari.

«Un progetto del genere è altamente innovativo, sia negli obiettivi che nelle modalità». L'Università di Bergamo è partner prestigioso de L'Eco Lab «e con piena convinzione» spiega il rettore Stefano Paleari.

Una joint venture della conoscenza?
«Trovo che il vostro sia un atteggiamento molto british: un'istituzione indipendente e importante per il territorio come L'Eco di Bergamo che fa sintesi, confrontandosi in tempo reale con i lettori e le loro proposte, veicolandole con le moderne tecnologie».

E la collaborazione dell'Università...
«Che non può rimanere fuori da un progetto del genere, in quanto soggetto scientifico. e culturale. Ma la nostra collaborazione è andata oltre, sfociando in una vera e propria partnership».

Perché questa scelta di farsi parte attiva?
«Perché non vogliamo essere solo un soggetto scientifico, ma contribuire come istituzione culturale indipendente al futuro della città. E nell'Università ci sono giovani che hanno grandi potenzialità e che vogliono cogliere questa opportunità».

Molto spesso si pensa che progetti del genere, fortemente innovativi, siano più adatti ad una dimensione metropolitana che provinciale. Bergamo è fuori target?
«Affatto. L'innovazione sta nelle modalità, ma l'obiettivo di cambiare il volto delle città di per sé non lo è. Bergamo si aggancia ad un treno partito da molti anni, sia in Europa che fuori, e che ha come finalità immaginare le aree urbane dei prossimi decenni in tutta la loro complessità».

Con quali linee guida?
«La qualità della vita, l'innovazione tecnologica e difesa del territorio: in tal senso Bergamo parte dopo, ma fortunatamente può seguire riflessioni in corso da anni e che qualche risultato l'hanno prodotto in termini di contributo scientifico e non».

Per l'Università, è un'ulteriore occasione di ribadire il legame con il proprio territorio.
«In un momento che segna in un certo senso un ritorno alle origini: molti secoli fa le Università europee erano luoghi frequentati non solo da giovani e non solo dagli indigeni. Ecco, noi stiamo andando – o tornando – in quella direzione, verso una realtà che sembra perdere i confini spaziali e temporali, ma non la sua identità. L'Università di Bergamo, ma non solo dei bergamaschi. E questo è un elemento chiave anche de L'Eco Lab».

Quale tema la affascina di più?
«La città mobile è sicuramente un obiettivo affascinante: in alcune grandi città si discute già di come garantire la mobilità senza automobili. E questa è la città che cambia, perché le esigenze sociodemografiche già oggi sono molto diverse da quelle che hanno determinato le attuali previsioni urbanistiche. E già da questo collegamento si capisce che il realtà il tema è uno solo: il futuro, declinato a più voci».

Con un occhio di riguardo all'ambiente, vista l'aria che tira...
«Tanto più con una sensibilità culturale che da noi si è manifestata dopo 50 anni d'industrializzazione, altrove dopo 10-15. Sono tutti fattori che contribuiscono a creare una città davvero abitabile: concetto che avvicina le diverse generazioni, perché fa riferimento al tema – centrale – dei servizi. E quelli richiesti dai giovani sono diversi da quelli della terza età, ed è un esempio della complessità del futuro».

Partiamo quindi con un'operazione futuro?
<+risposta_int>«Per una città bella, un concetto da riscoprire: perché l'elemento estetico inteso come storia, visione e accoglienza farà ancora la differenza. E per capire una realtà che cambia non si può stare alla finestra, ma bisogna vivere i fenomeni da protagonisti. L'Eco Lab ha questo obiettivo, e l'Università è ben contenta di fare parte del progetto. La sfida ci riguarda».

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