Concilio Vaticano II: 50 anni
Inserto di otto pagine su L'Eco

La canzone più bella del '900 è una canzone triste. L'ha scritta un poeta, Jacques Prevert, si intitola «Le foglie morte», parla d'amore e ne parla per dire che gli amori, anche quelli più grandi e che pensavamo eterni, prima o poi finiscono.

La canzone più bella del '900 è una canzone triste. L'ha scritta un poeta, Jacques Prevert, si intitola «Le foglie morte», parla d'amore e ne parla per dire che gli amori, anche quelli più grandi e che pensavamo eterni, prima o poi finiscono.

«La vita separa chi si ama», dice il poeta: e per quanto incredibile possa sembrarci, contro ogni logica e ogni legge elementare, lo fa «piano piano, senza far rumore». Anche l'Occidente abbandona il cristianesimo senza far rumore. Clamoroso nei numeri, è un fenomeno sociale molto discreto, percepito come una sorta di distacco senza lacrime e senza drammi.

Alle cronache che sobbalzano per un crocefisso staccato da un'aula scolastica sfugge la lenta emorragia che svuota le navate delle chiese: quanti giovani dopo la Cresima lasciano la pratica religiosa con la stessa semplicità con cui scendono da un treno? Accade anche a Bergamo, che pure e per molti versi è ancora un'isola felice.

Il declino della religione non è nato ieri. Nella seconda metà del '900 è soffiato impetuoso, livido, rabbioso il vento della contestazione. Sollevava, fra tanta polvere, il grido di una domanda inaudita di novità e cambiamento. Quel grido ancora ci interroga, e i cristiani non vi si sottraggono.

Cinquant'anni fa, l'11 ottobre 1962, per volere di Giovanni XXIII, si apriva a Roma, nella basilica di San Pietro, il Concilio Vaticano II. Il papa ne parlava come di una nuova pentecoste. Era un modo alto per dire, con linguaggio tipicamente cristiano, l'eccezionalità della congiuntura storica e le prospettive straordinarie che esso apriva.

Angelo Roncalli era nato in una patriarcale famiglia contadina a Sotto il Monte, poco più di un villaggio: eppure, o proprio per questo, aveva capito prima e meglio di altri che di fronte alla secolarizzazione dilagante alzare le barricate non serviva a nulla.

Le sue parole parlavano di pace, amicizia e misericordia, e cozzavano contro il vocabolario di condanna che nell'ultimo secolo la Chiesa aveva accumulato contro la società moderna e le sue ideologie impastate di sangue e speranze, non ultima quella comunista. Il cambiamento era radicale.

Con il Concilio la Chiesa accettava la storia, cioè riconosceva che il cristianesimo vive e respira dentro (e non fuori, o malgrado) la vicenda storica dell'umanità. La società moderna non era brutta, sporca e cattiva, ma terra fertile in cui i cristiani dovevano scorgere i segni dei tempi e dai quali avevano qualcosa da imparare. L'11 ottobre 1962 è stato una rivoluzione, prima di tutto per i cristiani.

Leggi l'inserto di otto pagine dedicato al Concilio Vaticano II su L'Eco di domenica 7 ottobre

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