Ricordando le vittime di El Alamein
Anche quattro bergamaschi in Egitto

Si sono svolte la scorsa settimana e continueranno anche con questa che si sta chiudendo le cerimonie in ricordo delle vittime della battaglia di El Alamein, avvenuta nel 1942, che ha visto protagonisti i paracadutisti della «Folgore» e dell'Asse contro gli Alleati.

Si sono svolte la scorsa settimana e continueranno anche con questa che si sta chiudendo le cerimonie in ricordo delle vittime della battaglia di El Alamein, avvenuta tra luglio e novembre del 1942, che ha visto protagonisti i paracadutisti della «Folgore» e dell'Asse contro gli Alleati .

Una piccola delegazione di parà bergamaschi in congedo ha partecipato alle cerimonie: Massimo Pezzotta di Treviolo (183° Rgt Nembo di Pistoia e missione con brevetto in Somalia nel 1993), Tarcisio Fratus di Bagnatica (2° Btg Sabotatori a Livorno, all'attivo 250 lanci), Gioacchino Bertasa di Peia (Comando Brigata a Livorno), e Riccardo Puelli di Bergamo (185° Livorno con più di 1000 lanci e brevetto Francese e Americano) con la moglie Maria Luisa. Le Sezioni di appartenenza sono quelle di Bergamo, Val Cavallina e Valle Seriana.

La cerimonia è stata organizzata, come tutti gli anni, dall'Associazione nazionale Paracadutisti d'Italia, patrocinata dal Comando Brigata Folgore e dal ministero della Difesa che ha mandato in sua rappresentanza, per gli onori, il sottosegretario Magri. È stato il più grande raduno di associazione d'Arma in terra straniera.

Il tutto si è svolto nel più grande sacrario italiano al di fuori dei confini nazionali che è appunto quello di El Alamein, dove si conservano i resti e le memorie di quasi 5.000 caduti italiani , di cui quasi 3.800 paracadutisti. Oltre al ricordo e alla commozione dei pochissimi reduci presenti (tre), si è parlato con dibattiti e convegni dell'impresa dei nostri soldati, spesso senza rifornimenti ed equipaggiamenti all'altezza, ma con un grande senso del dovere e abnegazione al sacrificio.

Per la divisone Paracadutisti Folgore è stata la «Battaglia», il battesimo di fuoco che l'ha portata praticamente alla distruzione dei suoi reparti, ma che ha fatto entrare la specialità d'arma nella storia militare moderna, nel ricordo di uomini, praticamente senza mezzi, che contrastarono per svariate settimane e mesi gli attacchi inglesi e francesi.

I rapporti di forza erano a sfavore dei paracadutisti in proporzione di 1 a 13 per gli uomini, di 1 a 5 per le artiglierie, di 1 a 70 per i carri, dati confermati anche dai diari inglesi. I parà usarono la tecnica nuova per allora del «contrattacco preventivo»; facevano entrare il nemico vicino alla postazione (si combatteva quasi sempre di notte), per sorprenderlo di fianco o da dietro: con i pugnali, con le bombe a mano, con le bottiglie incendiarie, e con armi ormai vecchie e mal funzionanti.

Distruggevano i carri corazzati, i colpi erano mirati e calibrati per non sprecarne. Mancarono i rifornimenti per combattere ad armi pari con il nemico, ma i soldati italiani - spesso affamati e ammalati di dissenteria - ebbero la tenacia di non arrendersi, di non mollare neanche un metro, tanto da guadagnarsi l'onore delle armi dagli inglesi che dopo qualche mese ebbero la meglio su una Divisione ormai inesistente per le perdite di uomini avute.

Il primo ministro inglese ,Winston Churchill, in un discorso alla Camera dei Comuni di Londra del 21 novembre 1942 , ricordò i nostri soldati con la ormai celebre frase «Dobbiamo davvero inchinarci, davanti ai resti di quelli che furono i Leoni della Folgore». Oltre alla carimonia nel sacrario italiano, è stato recitato un «Padre nostro» in inglese e tedesco anche nel sacrario inglese e in quello tedesco, che distano pochi chilometri, con la collaborazione del cappellano militare.

Attimi di commozione per uomini che, al di là degli schieramenti per l'epoca, seppero incarnare il sacrificio, l'obbedienza , l'umiltà e il valore. A completamento delle attività, due professori dell'Università di Padova, paracadutisti in congedo, coadiuvati dalla Società Italiana di Geografia e Geologia Militare, stanno ultimando il censimento delle postazioni di battaglia, con foto aeree, rilevazioni aerostatiche e quant'altro possa permettere di identificare le «buche» dove stavano i nostri soldati, le tecniche che usavano in base al territorio.

Praticamente in quasi ogni postazione verrà lasciato in basamento in cemento armato con targa commemorativa dei nomi dei reparti che hanno combattuto. Dai luoghi visitati abbiamo sentito un forte messaggio di pace: mai più guerre! Ok alle missioni di Peace-keeping, sempre più mirate a conoscere le esigenze delle popolazioni, i problemi e il mantenimento della stabilità dopo che le Nazioni intervenute abbandonano la missione. 

Massimo Pezzotta - che ci ha inviato questa lettera - ha partecipato nel 1993 all'operazione Ibis-Restore Hope in Somalia con notevoli soddisfazioni personali in termini di aiuto alle popolazioni dei villaggi isolati, di sorrisi ai bambini in cerca di giochi e qualcosa da mangiare, alla distribuzione e scorta delle derrate alimentari e a operazioni di rastrellamento e sequestro di armi e dispositivi.

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