Interrogato dopo l'omicidio di Zingonia
«Abbiamo litigato per una giacca»

«C'è stata una discussione per una giacca e la situazione è degenerata. Ho colpito senza volere e nemmeno mi sono accorto di aver ucciso». Lo dice Mouchine Boudouaia, in carcere con l'accusa di aver ucciso Abdelati El Manssouri.

«C'è stata una discussione per una giacca, avevamo bevuto tutti, e la situazione è degenerata. Ho colpito senza volere e nemmeno mi sono accorto di aver ucciso». Sono queste le parole di Mouchine Boudouaia, il ventiduenne marocchino in carcere con l'accusa di aver ucciso sabato a Zingonia, con una bottigliata, il connazionale ventiseienne Abdelati El Manssouri all'esterno del circolo «Ksar Fès».

Il giovane, incensurato e regolarmente residente a Zingonia con i genitori e il fratello, nel primo pomeriggio di mercoledì è stato interrogato in carcere dal giudice per le indagini preliminari Giovanni Petillo, e ha ribadito nuovamente la versione dei fatti già resa nell'immediatezza dei fatti, dopo essersi costituito davanti al titolare dell'inchiesta, il sostituto procuratore Monia Di Marco. All'origine dell'omicidio, quindi, una lite per futili motivi, tra soggetti che comunque si conoscevano tutti tra loro.

«Eravamo tutti nel locale e abbiamo bevuto: io in particolare otto birre, e avevo anche fatto uso di cocaina. A un certo punto un mio amico mi ha detto di aver perso la giacca – ha raccontato il ventiduenne al giudice durante l'interrogatorio –. Gli ho subito detto di non preoccuparsi, che conoscevo tutti lì e gliela avrei recuperata io». In effetti il giovane avrebbe recuperato nel giro di poco la giacca del connazionale e lo avrebbe quindi cercato, secondo il suo racconto, per restituirgliela: a quel punto però la situazione era improvvisamente e inaspettatamente precipitata. Pare per una sorta di scherzo, Mouchine Boudouaia avrebbe fatto finta di frugare nelle tasche della giacca in questione: un gesto innocente che - è sempre il racconto dell'arrestato - avrebbe fatto però scattare una reazione violenta nel legittimo proprietario del capo, in quel momento in compagnia di Abdelati El Manssouri. Dalle parole alle mani, la situazione di sarebbe ben presto scaldata, provocando uno scontro tra gli amici dell'uno e quelli dell'altro.

L'intervento dei buttafuori del locale aveva però interrotto la lite. Una volta all'esterno, però, tutto sarebbe ricominciato: il ventiduenne si sarebbe trovato da solo a fronteggiare il proprietario della giacca e alcuni suoi amici, tra cui Abdelati.

Il primo a un certo punto lo avrebbe colpito alla testa con una sbarra, mentre il secondo lo avrebbe minacciato con un collo di bottiglia: a quel punto a sua volta avrebbe impugnato una bottiglia rotta (sul posto ne sono state trovate tre, ora al vaglio degli inquirenti, ndr). «Cercavo di difendermi e ho allungato il braccio sinistro con cui impugnavo il vetro – ha spiegato –. L'altro marocchino (Abdelati, da lui non conosciuto, ndr) mi è venuto contro ed è rimasto ferito: non mi sono accorto però di quanto fosse grave». Il ventiduenne si era allontanato, mentre le reali condizioni di Abdelati venivano scoperte: colpito alla carotide, era morto poco dopo.

Sempre mercoledì mattina, al Papa Giovanni, è stata eseguita l'autopsia sul cadavere: l'esame ha confermato che la morte è stata causata dal colpo di bottiglia che gli ha reciso la carotide, facendolo morire dissanguato.

Per il marocchino interrogato confermata al momento la custodia cautelare in carcere: troppo grave il fatto contestato e prematura la richiesta dei domiciliari avanzata dal difensore.

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