Laura: «Potevo morire
Ora racconto com'è la vita»

di Claudia Mangili
Radiosa. Non c'è altra parola per ritrarla. Laura Morotti, 24 anni di Villongo, chiude una giornata storica, una conquista per lei più che per altri. È il giorno della sua laurea, la triennale in Lettere in Città Alta.

di Claudia Mangili
Radiosa. Non c'è altra parola per ritrarla. Laura Morotti, 24 anni di Villongo, chiude una giornata storica, una conquista per lei più che per altri. È il giorno della sua laurea, la triennale in Lettere in Città Alta.

Al centro culturale Sebinia di Sarnico la festa è finita ma lei si attarda insieme agli ultimi amici, a mamma Daniela che tiene duro, a papà Antonio che ha le lacrime in tasca, mentre il fratello Luigi ha già mollato il colpo. Laura è lì, fresca come una rosa, in terra accanto a lei il bastone che l'accompagna da quando si è risvegliata dopo 55 giorni di coma nella terapia intensiva dei vecchi Riuniti di Bergamo e dopo tanti mesi necessari per poter rinascere.

È il 10 dicembre 2007 e la mattina passa da Grumello a prendere una compagna di università, Lidia Zinesi. Insieme sono sull'A4, ferme in auto con le quattro frecce all'altezza di Seriate, è il primo giorno del blocco dei camion. Arriva sparata una macchina da dietro, centrando l'auto delle due ragazze. «Picchio la testa contro il gomito di Lidia». Il cervello sbatte nella scatola cranica, il mondo di Laura cambia, in un botto.

«E io, cambio? O sono la stessa di prima?». È con questa domanda che lei decide, cinque anni dopo, di presentarsi con la sua tesi di laurea davanti alla commissione. Una grande emozione anche per il suo relatore, il direttore del dipartimento di Lettere e filosofia Andrea Bottani. Non c'è equilibrio nello scambio tra professori e studenti. Di solito i primi dalla cattedra danno di più. Stavolta no. Dopo l'incidente, Laura poteva non svegliarsi più, non parlare più, non ragionare, sorridere, camminare, nuotare. Oppure poteva svegliarsi ma, semplicemente, arrendersi.

«Per me lei dormiva - racconta mamma Daniela -. I medici mi dicevano signora, non sappiamo... potrebbe rimanere un vegetale... Ma io non ci ho mai creduto, conosco mia figlia, testarda da morire». E da vivere. «Un giorno è successo. C'era mio marito con lei alla Casa degli Angeli di Mozzo dov'è stata ricoverata per mesi». «Mesi - precisa Laura - in cui l'unica cosa che facevo era respirare». Un giorno muove le dita. «Mio marito era agitatissimo. Mi telefona, Laura mi ha fatto il segno delle corna, dice». Scaramanzia o no, quelle corna sono il nuovo inizio. Resta ricoverata a Mozzo fino a giugno 2008, poi in day hospital fino a settembre, da lì un altro soggiorno di tre mesi alla casa di cura «La Nostra famiglia» a Bosisio Parini, nel Lecchese. A Natale è a casa a Villongo.

Ma l'avanti e 'ndre negli ospedali per la riabilitazione non è mai finito. Non finisce mai. Nel frattempo però Laura ricomincia la sua vita di ragazza, pian piano torna a muoversi, anche se ancora non è padrona di metà del suo corpo. Testarda com'è, per il momento le basta il resto. Il primo esame a Lettere era previsto il 17 dicembre 2007 e lei lo dà esattamente lo stesso giorno di due anni dopo. Macina esami su esami e avvia il lavoro per la tesi di laurea. «Che sarà su di me - racconta con un sorriso diverso e pieno di grazia -. Sono partita dal mio diario. Quello in cui gli psicologi che mi hanno seguito hanno suggerito di narrare me stessa. Narrare per riannodare l'ora all'allora. Lavoro al tema dell'identità, in particolare analizzando il pensiero di alcuni studiosi che hanno affrontato il prima e il dopo un grave trauma come quello capitato a me. Io ci metto del mio, confrontando la mia esperienza con il loro pensiero».

Ne viene fuori una tesi originale, in cui agli estratti dai testi di altri si alternano stralci dal diario di Laura. Stralci in cui leggere la freschezza e l'entusiasmo, la stanchezza, la paura, la rabbia, la forza. Mai, mai però il timore di non farcela. «Quello su cui ora mi concentrerò - scrive nell'introduzione - è far capire come la narrazione possa dimostrare a me, ma anche a chi mi sta intorno, che io sono la stessa persona che ero prima di quel "famoso" 10 dicembre 2007».

Arriva a una conclusione, Laura: attraverso la terapia, il racconto del proprio trauma e l'interazione sociale, le vittime sono in grado di ristabilire una connessione tra le loro passate esperienze e il loro sé attuale, la continuità delle loro identità fratturate o danneggiate. Il lavoro è lungo e complesso, la chiusura è una ragazza (quasi) tutta nuova. È 2 gennaio 2013 e Laura conclude la tesi.

«Ho provato a riparare la mia identità che, quel giorno è stata danneggiata e che ogni singolo giorno deve "lottare" contro tutti quei pregiudizi che si fanno i ragazzi che vengono chiamati "normali", che non hanno nessun problema, anche attraverso la narrazione!!! Non sono la stessa e sono contenta di come sono diventata. Sono diversa e sono contenta di esserlo!!!!!! Mi sento una persona migliore. Devo ammettere che, tutto sommato, sono contenta di aver avuto quell'incidente, perché senza non sarei diventata la persona che sono oggi, senza non avrei imparato a guardare la vita sotto un'altra prospettiva, senza non avrei potuto conoscere tante persone, tanta gente che, come me, combatte ogni giorno contro il destino per guarire!!!! Io non voglio mollare, anzi voglio impegnarmi ancora di più, voglio guarire» e lo scrive, nella tesi, a caratteri cubitali. Dopo la triennale, ha già avviato la laurea specialistica. Poi? «Farò l'insegnante». Ne siamo certi.

Clauda Mangili

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