Il vescovo Beschi in Bulgaria
Alla riscoperta di Giovanni XXIII

La chiesa del Beato Papa Giovanni è stata consacrata nel 2005 qui a Sofia, ma non è ancora del tutto ultimata. È il centro di un parrocchia cattolica di rito greco bizantino, nella periferia della città. Accanto al prete ci sono le suore Eucarestine.

La chiesa del Beato Papa Giovanni è stata consacrata nel 2005 qui a Sofia, ma non è ancora del tutto ultimata. È il centro di un parrocchia cattolica di rito greco bizantino, nella periferia della città. Accanto al prete ci sono le suore Eucarestine, congregazione nata in Grecia alla fine dell'Ottocento.

I preti pellegrini di Bergamo arrivano qui dopo quasi sette ore di pullman, dopo avere visitato il suggestivo monastero ortodosso di Rila, in mezzo alle montagne del Sud del Paese.

Nel pomeriggio di Sofia finalmente splende un bel sole di primavera. Suor Teodosia e suor Cristina hanno 92 anni, monsignor Roncalli lo hanno visto quando erano molto giovani perché le loro famiglie facevano parte della minoranza cattolica della Bulgaria.

Raccontano: «Questo terreno venne acquistato da Roncalli, ma i comunisti lo confiscarono nel 1946. Durante il periodo comunista noi potemmo continuare a indossare l'abito, ma in pratica non potevamo interagire con la gente, non potevamo fare nulla. Confiscarono questo terreno e ci fecero accanto, in quei palazzi lì, oltre il muro, una scuola di formazione comunista. Non pensavamo mai che un giorno saremmo tornate in possesso di quello che Roncalli aveva acquistato. Invece, dopo il crollo del comunismo le proprietà confiscate sono tornate ai legittimi proprietari, questo terreno alla nunziatura. Siamo riuscite a costruire la chiesa e il centro pastorale che aiuta gli anziani e i bambini, ma anche le donne in difficoltà. Non l'avremmo mai immaginato». Le indiscrezioni dicono che in questa scuola di «formazione comunista» si istruissero anche le spie del regime.

Il pellegrinaggio dei preti in Bulgaria, ispirato a Papa Giovanni, è giunto al termine. È stata un'esperienza faticosa, dal Nord al Sud del Paese, centinaia di chilometri, ore e ore di pullman lungo strade spesso strette e tortuose, attraversando le catene montuose dei Balcani, la pianura del Danubio, decine di chilometri di pianura ondulata, a tratti coltivata e a tratti selvaggia.

Un Paese povero che dopo cinque secoli di dominazione turca ha dovuto fare i conti con mezzo secolo di dittatura comunista. Un Paese grande un terzo dell'Italia, ma con una popolazione di sette milioni e mezzo di abitanti, meno della Lombardia. Grandi spazi verdi, montagne innevate, ciliegi e peschi tutti fioriti, in ritardo.

Il vescovo Francesco Beschi è rimasto colpito da questa realtà, come tutti i preti partecipanti a questo pellegrinaggio. Ha detto parlando sul pullman, fra il monastero di Rila e la chiesa di Sofia: «Posso dire che è stato un viaggio di scoperta. Scoperta di un tratto fondamentale, e poco conosciuto, della vita di Roncalli: ben dieci anni della sua vita. E scoperta di questa cultura, di questa arte, di questo popolo bulgaro di cui noi conosciamo poco. È stata una conoscenza sorprendente e progressiva, un avvicinarsi alla storia di Angelo Roncalli, un percorso illuminante che è decisivo per capire le scelte di Papa Giovanni. Qui ha trascorso dieci anni forti, impegnati, immerso in questo mondo ortodosso, in parte anche musulmano, con usi, tradizioni così lontani da noi. È un'esperienza che lo ha segnato in profondità nel rapporto con le altre culture, altre religioni, ma anche con l'ateismo. Una storia che illumina e che chiarisce gli atteggiamenti del Papa e la sua scelta di indire il Concilio ecumenico. E poi questo pellegrinaggio ci ha rivelato un modo di essere cattolici quando si è un'esigua minoranza. Qui i cattolici sono sessantamila, l'un per cento della popolazione. Eppure questi cattolici riescono a essere significativi, resistono nei decenni e portano avanti una loro precisa identità pur nelle difficoltà. Che nel periodo comunista furono realmente terribili. Ma questo incontro, questo pellegrinaggio fa ancora una volta considerare il nostro atteggiamento nei riguardi delle Chiese di minoranza nella nostra città. Abbiamo compreso meglio che cosa significhi essere in minoranza, essere uno sparuto gruppo. E questo ci fa pensare, suggerisce l'importanza di coltivare rapporti buoni e stretti con queste Chiese, con queste persone».

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