Da Bergamo al Bangladesh
«Curo i poveri ma serve di più»

Un urologo dell'Humanitas Gavazzeni, Emanuele Micheli, con la strumentista Daniela Amigoni, si è unito a una spedizione di medici bresciani e mantovani che, da qualche anno, nella stagione asciutta, raggiunge l'ospedale gestito dai missionari Saveriani e dalle suore di Carità a Khulna.

AKhulna, la terza città del Bangladesh, due milioni di abitanti stimati, le cure mediche gratuite arrivano nella stagione secca, da ottobre ad aprile. Arrivano dall'Italia. In quest'ultima missione anche due bergamaschi, dell'Humanitas Gavazzeni, un urologo, Emanuele Micheli, e una strumentista, Daniela Amigoni, si sono uniti al manipolo di volontari (ginecologi, urologici, anestesisti e strumentisti di sala) che da Gavardo in provincia di Brescia e da Mantova, ormai da diversi anni, a scaglioni per le diverse specialità, hanno scelto di raggiungere il Santa Maria Assistance Centre, ospedale gestito dai missionari Saveriani e dalle suore di Carità.

Speranze di cura
«A convincermi è stata Daniela Amigoni, che aveva già fatto questa esperienza nelle spedizioni precedenti - racconta l'urologo Micheli -. Ho accantonato le ferie e sono partito. Ora, al ritorno, ho la consapevolezza di aver fatto qualcosa di importante, ma vorrei che queste spedizioni diventassero qualcosa di più stabile, un canale aperto in modo permanente per aiutare i poverissimi del Bangladesh. Abbiamo visitato, abbiamo operato, ma siamo venuti via senza poi poter mantenere un contatto con questi pazienti. E servirebbe ancora molto di più per fare meglio: strumentazioni, attrezzature. Ecco, penso che questo sasso nello stagno possa essere colto da Bergamo e dai bergamaschi, da istituzioni ed enti che possono arrivare lì dove singoli cittadini armati di buona volontà non riescono: non è così facile far arrivare a destinazione materiale e beni, in quella zona del mondo. C'è una corruzione esponenziale: il rischio è che nulla giunga ai destinatari».

Danneggiando così le migliaia e migliaia di bengalesi che nel Santa Maria Assistance Centre e nei medici che dall'Italia arrivano da ottobre ad aprile, ripongono le loro speranze di salute e di vita: in Bangladesh la sanità è privata, si paga qualunque cosa, da un esame diagnostico a un intervento. Per sottoporsi a una Tac servono 120 euro: poco si dirà, visto quanto si arriva a pagare in Italia da privati, ma nella realtà bengalese 120 euro è una cifra inarrivabile, qui lo stipendio medio è di 20 euro al mese. E la metà della popolazione (161 milioni di abitanti, su una superficie metà dell'Italia) vive in povertà.

«E in condizioni igieniche drammatiche, come abbiamo visto a Khulna: durante il soggiorno ci siamo detti che se avessimo dovuto stare fuori dalla missione dei Saveriani sicuramente saremmo morti, tra le fogne e i liquami che invadono le strade, l'incredibile quantità di veicoli che transita sulle strade senza alcuna regola - racconta Emanuele Micheli - . Anche il viaggio da Dacca, la capitale, a Khulna, è stato un'esperienza pesantissima: 8 ore su un autobus scalcagnato, zigzagando tra veicoli, persone e animali. All'arrivo alla missione la prima cosa che abbiamo visto è stata la coda lunghissima di pazienti in attesa davanti all'ospedale. Aspettano da un anno all'altro l'arrivo dei medici dall'Italia, in spedizioni con diversi specialisti che si avvicendano da ottobre ad aprile, quando è possibile arrivare nel Paese senza incappare nelle inondazioni. Io, con Daniela, ero nell'ultima spedizione della stagione: dal 6 al 26 aprile. Con i colleghi abbiamo visitato oltre 200 persone, ed effettuato oltre 50 interventi». Il Santa Maria Assistance Centre può contare su due sale operatorie, spiega l'urologo dell'Humanitas Gavazzeni, delle quali una molto piccola, con strumentazione comunque in buone condizioni.

Chi può lascia offerte
«Ma serve ancora molto: abbiamo portato per l'ospedale, anche diversi strumenti, oltre a un contributo economico che i colleghi avevano raccolto in diverse iniziative e consegnato ai Saveriani e alle suore di Carità - sottolinea Micheli - . L'ospedale infatti accoglie chiunque, senza distinzione di religione (in Bangladesh la maggior parte della popolazione è musulmana ndr) compresi i parenti dei pazienti, e garantisce loro anche il vitto e l'alloggio nella missione. Chi è in grado di fare un'offerta, questa è ben accolta. Ma tanti non hanno neppure l'equivalente di pochi euro: comunque la missione non rifiuta l'aiuto, una visita a nessuno».

La spedizione di Emanuele Micheli era composta da 3 ginecologi, due urologi, 3 anestesisti, e 4 infermieri di sala: per le competenze urologiche sono stati effettuati oltre 50 interventi (calcoli, plastiche dell'uretra, e operazioni per togliere la prostata) mentre per l'ambito ginecologico asportazioni dell'utero e interventi a fistole causate da parti in casa e gravemente invalidanti. «Preziosissimo l'aiuto delle suore, tra queste suor Tecla, di Sovere - spiega l'urologo - . Senza di loro a fare da interpreti, sarebbe stato complicato spiegare ai malati, dai 15 anni in su, quali fossero le loro patologie e in cosa consistesse l'intervento».

Ora, nella stagione umida, l'ospedale, che sta ampliando due reparti di degenza, può contare su un medico bengalese che svolge attività ambulatoriale. E i bengalesi attendono che passino gli uragani e che tornino, con il sole, i medici italiani. Chissà, la prossima spedizione, come si augura Emanuele Micheli, potrebbe portare anche la certezza di aiuti più stabili e consistenti.

Carmen Tancredi

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