Bergamo «tropicale» & notti in bianco
Se il condominio si trasferisce ai Caraibi

Questo articolo inizia nella mia testa alle 5 e mezza di mattina di un sabato insonne accompagnato da una colonna sonora di schiamazzi e ritmi latini che rimbomba per mezzo vicinato. È una fiesta di fine settimana, come nei migliori bar di Caracas.

Questo articolo inizia nella mia testa alle 5 e mezza di mattina di un sabato insonne accompagnato da una colonna sonora di schiamazzi e ritmi latini che rimbomba per mezzo vicinato. È una fiesta di fine settimana corredata di chiacchiere e risate, voci di sudamericani impastate d'alcol come nei migliori bar di Caracas.

Soltanto che non ci troviamo in un barrio dei tropici, ma in un complesso residenziale dell'hinterland bergamasco e la fiesta sarebbe anche tollerabile come una tantum se in linea d'aria, a circa un centinaio di metri, non ci fosse una casa di riposo. Ma sopra ogni cosa l'imperterrita caciara è incomprensibile perché a 50 metri scarsi si staglia la recinzione di una caserma dei carabinieri. E il sonno dei tutori dell'ordine genera dubbi.

Dalle finestre delle case adiacenti nessun rimbrotto, niente secchiate d'acqua per spegnere l'entusiasmo dei festanti. Il disagio muto dei residenti è in qualche modo specchio di quello che sta vivendo l'intero Paese. Un Paese di spettatori attoniti e snervati nell'attesa che qualcuno intervenga raddrizzando le storture, spazzando via incomprensibili negligenze e abnormi disparità. Un Paese ingolfato sul fronte istituzionale, sclerotizzato dalla burocrazia e dove campeggiano indisturbati gruppi di prepotenza sostenuti da logica predatoria. E tale vuoto d'autorità si diffonde nelle strada abbinato alla «sostanza» con cui sono disturbati i sogni: l'onda sonora dello schiamazzo notturno. Un tempo nei film western c'era il momento clou dell'«arrivano i nostri», la carica gioiosa che annientava i cattivi di turno come un'onda di piena. Oggi i nostri non sono neppure dei puntini nell'orizzonte desertificato da crisi, sbadigli e alzate di spalle. Restano solo i molesti squilli di tromba che annunciano i tartari. Esattamente come le implacabili percussioni caraibiche che da tre ore ormai rimbalzano sulle pareti delle camere da letto dei condomini punteggiate da esclamazioni barcollanti e brandelli di karaoke.

Giustamente si obietterà: se la fiesta ti scoccia scendi in strada e fai presente che a una certa ora la civile convivenza impone un taglio dei decibel. È vero avrei potuto, avrei magari rimediato un «vaffa» o due sberle. Oppure avrei potuto chiamare il 112. Come tanti italiani invece oggi mi ripeto il mantra «ma tra un po' la finiscono, basta avere un po' di pazienza». E poi esito a giocarmi la carta dell'appello alle «superiori» autorità perché temo di scoprire il bluff, temo la risposta all'altro capo del filo: non abbiamo pattuglie, siamo fuori budget, dobbiamo rispettare il Patto di stabilità.

Sono le otto e mezza ormai e la pioggia battente prende il sopravvento sui bassi pompati, alcuni festanti si accomiatano con colpi di clacson e portiere sbattute che misteriosamente nessuno ode dalla caserma. La notte bianca cede il posto a una giornata grigia, i celebranti ritrovano la moderazione e i residenti un brandello di pace. Tra le incerte luci della mattina resta però netta la sensazione di abitare una terra di nessuno.

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