«Un salotto per i permessi»
Al setaccio le intercettazioni

L'inchiesta sul racket dei permessi di soggiorno falsi agli immigrati, che a Bergamo ha portato in manette 9 persone, è stata condotta anche con le intercettazioni telefoniche. I pm e i militari della Finanza puntano il dito su chiacchierate al cellulare.

L'inchiesta sul racket dei permessi di soggiorno falsi agli immigrati, che a Bergamo ha portato in manette 9 persone, è stata condotta anche con le intercettazioni telefoniche. I pm e i militari della Finanza puntano il dito su quelle chiacchierate al cellulare tra gli imprenditori bergamaschi e i dipendenti di prefettura e direzione provinciale del lavoro dove si parla di «kiwi», «dell'acquisto di un salotto e interventi di manutenzione elettrica per la propria abitazione» per agevolare il rilascio dei titoli d'ingresso, influendo sulle pratiche. In particolare, il salotto sarebbe stato acquistato per l'impiegata della direzione provinciale del lavoro. Negli atti dell'inchiesta si legge anche che avrebbe ricevuto «somme variabili da 12 mila a 20 mila euro».

Il cerchio dell'inchiesta sul racket (9 arresti ma altre 24 sono indagate a piede libero) si chiude con un'ipotesi di corruzione di cui non c'è la classica pistola fumante, ma solo deduzioni e forti indizi, emersi per lo più dalle telefonate intercettate. Come capita spesso per le indagini sulla droga, ci troviamo di fronte a dazioni «parlate», se risulterà vero che le frasi captate da chi indaga si riferiscono a compensi. Il giudice delle indagini preliminari però tende a smontare il teorema: solo indizi.

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