L'omicidio di Jimmy Ruggeri
Padre e figlia gli unici testimoni

«Oh mamma, è il Jimmy...». Quando Annamaria Belometti guarda fuori dal finestrino della sua auto, il rombo della moto si è appena allontanato, ma l'eco degli spari – prima tre o quattro poi, dopo alcuni secondi, altri due –, le riecheggiano ancora nella testa.

«Oh mamma, è il Jimmy...». Quando Annamaria Belometti guarda fuori dal finestrino della sua auto, il rombo della moto si è appena allontanato, ma l'eco degli spari – prima tre o quattro poi, dopo alcuni secondi, altri due –, le riecheggiano ancora nella testa.

Riverso a terra, vicino all'ingresso della palestra e del suo bar, lo «Zero Uno Bistrò», c'è Gian Mario Ruggeri. «Lo conoscevo bene, certo: veniva sempre qui a bere il caffè. Una persona squisita».

Lei, 45 anni, di Palosco, e suo padre Emilio, 74, sono gli unici due testimoni dell'omicidio di sabato mattina a Castelli Calepio. Anche se non hanno visto granché: terrorizzati, sono letteralmente scivolati sui sedili della loro Fiat Punto.

«Eravamo appena arrivati davanti al bar e avevamo appena spento la macchina – racconta Belometti –. A un certo punto abbiamo sentito gli spari. All'inizio ho pensato a dei cacciatori, invece c'erano questi due tizi con il casco integrale, dunque irriconoscibili. Abbiamo capito che stavano sparando a qualcuno. Ci siamo quindi abbassati nell'abitacolo per nasconderci, mica che ci vedessero e sparassero anche a noi».

«Tra l'altro – prosegue il testimone – siamo entrati con l'auto nel senso unico per arrivare direttamente davanti al bar: se avessimo invece fatto il percorso corretto, ci saremmo trovati proprio nel punto in cui hanno ucciso Ruggeri e proprio in quel momento. Meglio non pensarci. Comunque è durato un minuto al massimo il tutto».

«Dopo i primi tre o quattro spari abbiamo sentito "Ahi, ahi!", poi gli altri due colpi glieli hanno sparati direttamente alla testa – aggiunge Annamaria Belometti –. Quando la moto è scappata ho guardato fuori dal finestrino e ho capito che era Jimmy. La paura era tanta». A quel punto padre e figlia si sono fatti forza e, scesi dall'auto, hanno raggiunto Gian Mario Ruggeri a terra.

«Era riverso sul lato destro – racconta anche la barista – e dalla testa gli usciva il sangue. Però respirava ancora. Accanto a lui c'era la sua borsa: era un habitué di questa struttura, veniva qui tutti i sabati mattina ma anche durante la settimana». Il delitto è avvenuto pochi minuti prima delle 9, orario d'apertura della palestra «CastelGym Club» e, per questo, nella struttura c'erano soltanto due addetti che non hanno però assistito al delitto. A chiamare i carabinieri sono stati invece alcuni dipendenti di una vicina ditta, usciti in strada dopo aver sentito gli spari.

«Non abbiamo praticamente visto gli assassini – aggiunge Emilio Belometti – appunto perché indossavano il casco. A sparare è stato comunque quello seduto dietro. Prima ha esploso i primi colpi dalla moto, poi ha visto che Jimmy era ancora vivo, è sceso, si è avvicinato e ha sparato i due colpi di grazia direttamente in testa. La moto era del tipo di quelle da cross». Bar e palestra ieri sono rimasti chiusi per tutta la giornata in segno di lutto per l'accaduto.

Tre pagine su L'Eco di Bergamo del 29 settembre

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