Non piace neppure al progettista
«Così la piazza è stata stravolta»

La nuova veste di piazzale Marconi non piace neppure a uno degli autori del progetto: l'architetto Franco Zagari, già docente di architettura del paesaggio alla Sapienza di Roma e consulente dell'amministrazione comunale durante le prime fasi per lo studio. Ti piace? Commenta

Dopo il nein, il no. Dopo la bocciatura tedesca quella italiana. E la cosa paradossale – stiamo parlando della nuova veste di piazzale Marconi – è che, a «schierarsi» con Gabriele G. Kiefer, l'archistar berlinese rimasta basita di fronte all'opera appena realizzata alla stazione ferroviaria, è uno degli autori dello stesso progetto: l'architetto Franco Zagari, già docente di Architettura del paesaggio alla Sapienza di Roma e consulente dell'amministrazione comunale durante le prime fasi per lo studio del polo intermodale. Gli è bastata un'occhiata al nuovo piazzale per rendersi conto che qualcosa non tornava.

Tante perplessità destinate ad animare un dibattito già vivace: non a caso il progettista è stato invitato dall'Ordine degli architetti di Bergamo a presentare il suo ultimo libro («Sul paesaggio. Lettera aperta») durante una serata che dovrebbe svolgersi tra la fine di ottobre e i primi di novembre.

Un'occasione per confrontarsi anche sull'infrastruttura che ha trovato spazio tra le Autolinee e i binari del treno.

Architetto, come mai una cosa nata anche dalla sua mano non le piace?
«Sinceramente ho avuto modo di osservarla in maniera piuttosto rapida e avrei bisogno di più tempo per esprimermi in maniera definitiva. La prima impressione non è stata però buona: ho ritrovato una somiglianza, ma molto spenta e affievolita rispetto a ciò che avevo contribuito a progettare».

Si spieghi meglio.
«L'idea non era solo quella del nuovo piazzale, ma di un vero e proprio sistema intermodale che dal punto di vista formale si configurava come un nuovo Sentierone, un terzo punto focale dopo Città Alta e il centro piacentiniano, il cui filo conduttore era dato dalle linee curve suggerite dall'assetto viabilistico, ma studiate secondo un'impostazione puntuale che qui non ritrovo: doveva essere un sistema in grado di garantire una perfetta convivenza tra zone carrabili e pedonali, arredi urbani e vegetazione, invece il risultato è tutt'altro; manca armonia».

E il piazzale: era stato pensato così?
«Ripeto dovrei soffermarmi con maggiore attenzione, ma ciò che ho subito notato è stata la scelta di una pietra diversa, evidentemente più economica, rispetto a quella prevista inizialmente (la colombina); mancano inoltre le sedute e anche le luci non sono quelle ipotizzate all'epoca della progettazione e scelte per avvicinarsi il più possibile ai lampioni già presenti in città».

Come mai questo cambio di rotta?
«Non ho idea. Il mio rapporto con l'amministrazione comunale si è bruscamente interrotto con il cambio del dirigente responsabile del settore; avevo consegnato una progettazione dai contenuti esecutivi, ma non sono più stato convocato, nonostante avessi dato la mia disponibilità a collaborare senza ulteriori compensi: avrei partecipato solo per assistere al completamento di un lavoro che avevo iniziato e che mi sarebbe piaciuto portare a termine nel migliore dei modi».

Quanto è costata la sua consulenza?
«Circa 19 mila euro, ma la questione non era assolutamente economica: probabilmente avevo già lavorato ben più di quello che era stato pattuito e sarei andato avanti volentieri. Invece sono stato sostanzialmente escluso e pure in maniera piuttosto brusca».

Altri rimpianti?
«Sì almeno uno. Perché non dico che il mio progetto fosse esente da errori, ma certamente avrei dovuto essere più deciso e puntare i piedi nel momento in cui proposi all'amministrazione comunale di accompagnarlo a un processo partecipativo: era fondamentale per ottenere anche il consenso dei cittadini, ma c'era molta fretta e non fui ascoltato».

Non è la prima volta che si trova a vivere rapporti difficili con l'amministrazione di Bergamo...
«In effetti già all'epoca in cui mi occupai della progettazione del nuovo parco a Redona, a metà del decennio scorso, mi trovai più o meno in una situazione analoga con cambiamenti nel progetto impostato di cui non venni nemmeno messo al corrente. Un peccato perché lavoro sempre volentieri a Bergamo: la trovo una città splendida non solo nella sua parte alta, ma anche nel centro piacentiniano, a volte un po' sottovalutato, ma frutto di un progetto meraviglioso e di grande respiro».
Emanuele Falchetti

© RIPRODUZIONE RISERVATA