«Giù le mani dalla polenta»
Le micotossine sono già trattate

Polenta cancerogena? Una sparata senza senso. L'affermazione di Roberto Defez, ricercatore del Cnr, Istituto di genetica biofisica del Cnr Napoli, ha suscitato l'ira dei bergamaschi. E un bergamasco doc spiega meglio le nuove tecniche anti micotossine.

Polenta cancerogena? Una sparata senza senso. L'affermazione di Roberto Defez, ricercatore del Cnr, Istituto di genetica biofisica del Cnr Napoli, ha suscitato l'ira dei bergamaschi. Il ricercatore aveva lanciato una provocazione secondo cui la polenta causa tumori all'esofago per la presenza di micotossine che aggrediscono il mais.

Il tutto per protestare contro il fatto che sulle confezioni di polenta presenti nei supermercati non è mai specificata la quantità di fumonisine presenti (una specie di quelle micotossine) nonostante una normativa europea obblighi a farlo.

Nonostante Defez si sia affrettato a contestualizzare l'affermazione cercando di darne un senso meno tragico le risposte bergamasche sono state molto aspre. Dal punto di vista tecnico è intervenuto Paolo Valoti, conosciuto ai più come ex presidente Cai ma che di professione fa il ricercatore scientifico presso il Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura di Cra-Mac, l'Unità di ricerca per la Maiscoltura che dal 1920 opera in territorio bergamasco: «Il problema della presenza di micotossine nel mais è conosciuto da diversi anni – ha spiegato Valoti – e per questo da diverso tempo viene studiato e tenuto sotto controllo. Grazie a studi approfonditi e ricerche sono stati fatti grandi passi in avanti. Ad esempio non si fa più essiccare il mais in campo o appendendolo al sole fuori dalle cascine come facevano anni fa ma lo si coglie a un grado di umidità pari al 25% e lo si conserva a un grado minimo del 14%, il tutto per evitare proprio che micotossine aggrediscano la granella. Qualora questo dovesse succedere, tuttavia, l'agrotecnica si è evoluta molto anche in fase di selezione che è diventata ormai chirurgica e scarta tutte le partite di mais contaminate».

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 16 ottobre

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