«Tra il diabete e l'Alzheimer
esiste una correlazione»

Il diabete di tipo 2 (non insulino-dipendendente) favorirebbe l'insorgenza del morbo di Alzheimer. Porta a queste conclusioni lo studio pubblicato su «Diabetes» da Giulio Pasinetti, 55 anni, nato e cresciuto in Borgo Canale, da trent'anni negli Usa.

di Alberto Ceresoli
Il diabete di tipo 2 (non insulino-dipendendente) favorirebbe l'insorgenza del morbo di Alzheimer. Porta a queste conclusioni lo studio pubblicato mercoledì su «Diabetes», prestigiosa rivista scientifica internazionale di settore, a firma del professor Giulio Maria Pasinetti, 55 anni, nato e cresciuto in Borgo Canale, da trent'anni negli Usa, dove oggi dirige il Dipartimento di Neuroscienze della «Mount Sinai School of Medicine» di New York.

«Il nostro studio - spiega Pasinetti, tra i maggiori scienziati al mondo nel campo delle malattie neurodegenerative come il Parkinson, l'Alzheimer e la Sla - prospetta per la prima volta una serie di meccanismi attraverso i quali il diabete di tipo 2 può provocare alcuni cambiamenti nel cervello e influenzare in maniera significativa lo scatenarsi della malattia di Alzheimer».

Il diabete di tipo 2
Il diabete mellito di tipo 2 è una condizione associata al metabolismo del glucosio ed è di gran lunga la forma di diabete più frequente (interessa il 90% dei casi), tipico dell'età matura. Due i difetti che lo possono provocare. Il primo è legato ad un'insufficiente produzione di insulina, incapace di soddisfare le necessità dell'organismo. Il secondo, invece, è legato al fatto che l'insulina, pur prodotta in quantità sufficiente, non agisce come dovrebbe. Il risultato, in un caso o nell'altro, è il conseguente incremento dei livelli di glucosio (zucchero) nel sangue. Questo tipo di diabete è chiamato «non insulino-dipendente» perché l'iniezione di insulina esterna, a differenza di quanto avviene nel diabete di tipo 1, non è di vitale importanza.

Lo studio statunitense
«Individuando dei cambiamenti in alcuni geni del cervello umano in soggetti malati di diabete - spiega Pasinetti, docente di Neurologia alla "Scuola di Medicina di Icahn" del "Mont Sinai" - io e i miei collaboratori ci siamo accorti che il diabete è in grado di influire sulla degenerazione cognitiva di questi pazienti attraverso una serie di modificazioni epigenetiche del Dna, modificazioni chimiche che influenzano l'attività del Dna senza però modificarne la struttura».
Basandosi su questa scoperta, il ricercatore bergamasco ha poi ipotizzato che se l'evidenza fosse stata corretta, analoghe condizioni si sarebbero potute replicare in laboratorio, per esempio in topi diabetici e geneticamente predisposti a sviluppare la malattia di Alzheimer. Come sottolinea lo stesso Pasinetti, l'ipotesi di partenza si dimostrata corretta, e per la prima volta si è dunque potuto provare che il diabete di tipo 2, attraverso cambiamenti epigenetici del Dna nel cervello, può provocare l'insorgenza e la progressione della malattia di Alzheimer, caratterizzata, tra le altre cose, da una drastica perdita della memoria.

Meccanismi da studiare
«La relazione tra diabete di tipo 2 e malattia di Alzheimer è ancora poco chiara - dice il ricercatore bergamasco -. Non tutti i soggetti con diabete di tipo 2 sono affetti da morbo di Alzheimer e, allo stesso modo, non tutti i malati di Alzheimer sono diabetici. Tuttavia, negli ultimi anni, l'evidenza epidemiologica indica che rispetto a soggetti anziani sani la popolazione della stessa età alle prese con il diabete di tipo 2 ha più probabilità di sviluppare un deterioramento cognitivo e una maggiore sensibilità alla insorgenza della malattia di Alzheimer».
Il nuovo studio fornisce una visione innovativa del potenziale meccanismo che potrebbe spiegare la relazione tra diabete di tipo 2 e insorgenza di malattia di Alzheimer. La scoperta del professor Pasinetti ha molteplici implicazioni sociali : attualmente ci sono più di 5 milioni di americani colpiti dall'Alzheimer e l'incidenza della malattia ipotizza una crescita esponenziale nei prossimi trent'anni, complice il continuo invecchiamento della popolazione.
Ma come tradurre gli esiti della ricerca in un possibile trattamento nell'uomo? Giulio Pasinetti e i suoi colleghi sono ottimisti: «Pensiamo di riuscire a capire come queste alterazioni del metabolismo del glucosio siano in grado di modificare la funzione di segmenti specifici di Dna e, da qui, iniziare a disegnare nuove terapie sperimentali per prevenire o comunque bloccare le modificazioni funzionali del Dna in pazienti affetti da malattia di Alzheimer. Bisognerà studiare ancora molto, ma siamo sulla buona strada».

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