«Tra i ragazzi
c'è sempre più strafottenza»

Piccoli Cassano crescono. Ragazzini che guardano l'allenatore dall'alto in basso, con lo sguardo di chi, con una maglietta importante calata sulle spalle, si sente già arrivato. Campioni sì, ma di maleducazione. Roberto Selini, consigliere d'amministrazione dell'Atalanta, delegato per il settore giovanile, casi così ne vede quasi tutti i giorni. È ancora fresco il suo assenso all'allontanamento da Zingonia di Tobia Fusciello, punta di diamante della Primavera. Imitando Panucci, Fusciello non ha accettato la panchina. E l'Atalanta l'ha rispedito a casa. «La nostra politica è questa - dice Selini -: certo, contano i risultati del campo. Ma non sono tutto. Noi vogliamo crescere dei calciatori che abbiano anche una certa cultura, che siano uomini, che sappiano presentarsi come persone per bene. Se questo non succede allora applichiamo regole severe, senza guardare in faccia a nessuno».
Però questo sembra succedere più spesso rispetto al passato.
«Sì, facciamo più fatica adesso rispetto a qualche anno fa». Ma se mettete alla porta un ragazzo che si comporta male, quante sono le famiglie che vi seguono e quante quelle che difendono a prescindere il campioncino incompreso?
«Per fortuna le famiglie che ci seguono su questo terreno sono ancora la maggioranza. Ma ci sono casi in cui non c'è niente da fare».
Ci sono famiglie disposte a sacrificare anche l'istruzione del figlio pur di farlo diventare professionista?
«Purtroppo capita».
La Primavera quest'anno sta deludendo sul campo. E fuori dal campo?
«Ecco, alcuni casi di abbandono scolastico si sono verificati anche nella Primavera di quest'anno. Così non va bene. anche perché bisogna capire che sono tanti i ragazzini che arrivano nel nostro settore giovanile, ma poi sono pochi quelli che diventano professionisti. E se insieme a bravi calciatori non si diventa uomini, essere professionisti è ancora più difficile. Questo noi cerchiamo di farlo capire in tutti i modi, anche se non sempre siamo ascoltati». Però mettiamoci nei panni di un ragazzino che si ritrova con la maglia dell'Atalanta addosso: difficile non perdere la testa...
«Noi lavoriamo proprio per questo. Abbiamo una psicologa che collabora con noi per tenere i ragazzi coi piedi per terra. E sempre lei incontra anche le famiglie. Sia chiaro che noi non vogliamo prendere il posto di nessuno, noi curiamo l'aspetto sportivo del ragazzo, ma ci facciamo carico anche di un aspetto educativo. Ma sotto questo aspetto il ruolo delle famiglie deve essere sempre fondamentale».
E non è più così?
«Io posso solo constatare che ultimamente il livello di maleducazione, di comportamenti strafottenti, di mancanza di capacità di ascolto è in aumento. Si vedono ragazzini comportarsi come campioni arrivati».
Eppure hanno molti esempi. Sanno che se fai come Padoin, per esempio, hai una chance in più. E conoscono anche benissimo i nomi di chi è stato cacciato da Zingonia... Possibile che gli esempi non servano?
«Sembrano non capire. Noi insistiamo, su questo non c'è dubbio. La nostra politica è questa, e chi vuole stare all'Atalanta sa quali sono le regole».
Il problema è che se certi adulti del calcio non rispettano le regole, è ben difficile pretendere che a rispettarle siano i ragazzini... «Senza dubbio. Spesso, per esempio, questi ragazzini sono circondati da procuratori che fanno progetti assurdi, che mettono in testa idee strane. E quando i ragazzini vedono che tu fai discorsi diversi, diventano arroganti, non ascoltano più gli allenatori, e finiscono per mettersi nei guai».
Rischia di traballare il mito dello sport come uno spazio «sicuro» per i giovani?
«No, no. Per fortuna che c'è lo sport. Noi continuiamo a dirlo, continuiamo a portare allo stadio i ragazzini, perché crediamo in questo principio di aggregazione. È sempre più difficile, ma noi non molliamo».

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