«Non cediamo alla tentazione
di rassegnarci alla povertà»

«Una grande onda di dolore. L'impressione di una forte e diffusa sofferenza». È la sintesi del vescovo Francesco Beschi, di fronte ai dati, alle riflessioni e alle testimonianze emerse all'auditorium dell'istituto Palazzolo durante il convegno «Rassegnarsi alla povertà?» indetto dalla Caritas diocesana in occasione della giornata mondiale della povertà.

Sul palco, con il vescovo, il direttore della Caritas diocesana don Claudio Visconti (in platea il presidente monsignor Maurizio Gervasoni), il collaboratore Marco Zucchelli e Ivo Lizzola, preside della facoltà di Scienze della formazione dell'Università di Bergamo. Insieme hanno fotografato la «sofferenza urbana» della Bergamasca, che la grande spinta del volontariato e l'invito alla solidarietà cercano di tamponare insieme alle risposte che offrono le istituzioni che fanno i conti con risorse sempre più ristrette.

«Ci rendiamo conto come al di là delle facciate, a volte anche dettate da un apprezzabile senso di dignità – ha precisato monsignor Beschi – ci sia effettivamente molto più dolore di quello che possiamo immaginare». Appunto, la grande onda della marginalità di casa nostra, che potrebbe indurre alla rassegnazione, al calare le braccia di fronte ad una sfilza di numeri e cifre (dietro le quali ci sono i volti provati delle persone) che Lizzola ha invitato a non edulcorare.

In sala l'assessore provinciale alle Politiche sociali e Salute, Domenico Belloli, e il collega di Palazzo Frizzoni, Leonio Callioni. Di fronte a tutto ciò la tentazione alla rassegnazione ha il sapore fatalmente invitante della resa, dell'adattamento, della consapevolezza tout court di un arretramento. Una tentazione che è necessario vincere.

«E voi che siete qui – precisa il vescovo rivolgendosi al centinaio di rappresentanti di associazioni e istituzioni seduti nel teatro delle Poverelle – siete la prima, concreta, incarnata vittoria sulla tentazione della rassegnazione». Monsignor Beschi prende in esame le tre povertà che riscontra nella società bergamasca di oggi dalle quali occorre sganciare, lo ripete, la tentazione della rassegnazione. Parte dalla povertà relazionale, fomentata dal passaggio da diffusa cultura solidaristica a una cultura individualista.

«La provocazione della povertà relazionale – continua il vescovo – deve portarci veramente alla necessità di una scelta che prima di tutto deve attraversare la coscienza di ciascuno e poi, via via, assumere le forme più diffuse fino a raggiungere le responsabilità sociali e politiche». Lizzola, analizzando i dati forniti da Zucchelli (già presentati su L'Eco di venerdì), ha parlato di una Bergamo ambivalente, che si divide tra «energie grezze e disprezzanti» e «energie civili e solidali».

«Davanti a ciò – riprende monsignor Beschi – non possiamo semplicemente far da spettatori, rischiando di assecondare le derive più pesanti e più distruttive». Per superare la povertà relazionale il vescovo individua come rilevante la famiglia, il luogo originario di relazioni decisive e responsabili. Con forza monsignor Beschi sollecita al convincimento di offrire ad ogni persona uguali condizioni di partenza e non rassegnarsi alla seconda povertà, quella sociale.

E aggiunge: «È necessario che queste condizioni siano continuamente ripristinate. Il lavoro, la casa, la salute e la scuola non sono condizioni facoltative alle quali si può rinunciare». Terza povertà è quella culturale, e indica il convegno di ieri come un'efficace risposta.

La conclusione è affidata a un passo dell'enciclica «Caritas in veritate», nel punto in cui Papa Benedetto XVI richiama Paolo VI e la «Populorum progressio»: «Il mondo soffre per mancanza di pensiero. Serve un nuovo slancio del pensiero per comprendere meglio le implicazioni del nostro essere una famiglia. L'integrazione nel segno della solidarietà rispetto alla marginalizzazione».

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