«Addio Mattia, la sorellina
che aspetto è il tuo regalo»

Aveva sette anni, soffriva di una rara malattia genetica. Di solito non si superano i 36 mesi. «La sua vita era fatta di silenzi e sorrisi».

Sorrisi e lunghi silenzi, il loro mondo era tutto lì. Un mondo di piccole attenzioni e dedizione totale, esclusiva, che ha accompagnato il piccolo Mattia fino a compiere sette anni – lui che avrebbe dovuto vivere 36 mesi, non di più – per poi lasciarlo volare via leggero.

In questi giorni a Quintano di Castelli Calepio c’è una casa dove l’andirivieni di gente è infinito e i fiori, bianchi soprattutto, non ci stanno più. Tantissime persone hanno fatto visita a casa Milesi, in via Diaz, per salutare Mattia, il bimbo portato via da una malattia rara, da poco tempo riconosciuta dal Sistema sanitario grazie alla petizione lanciata dall’associazione «Angeli per la vita» (www.angeliperlavita.info) di cui i genitori e i nonni di Mattia sono attivi sostenitori.

Si chiama sindrome di Menkes, è una grave malattia genetica neurodegenerativa che colpisce solo i maschi, mentre le femmine possono essere portatrici sane. Si manifesta nella prima infanzia, determinata da un difetto nell’assorbimento intestinale e nel trasporto del rame. I genitori di Mattia si sono accorti che qualcosa non andava quando lui aveva sei mesi. «Non teneva su la testina, siamo andati agli Spedali Civili di Brescia – racconta mamma Natalia – e subito i medici hanno notato i capelli incolore, crespi», una caratteristica dei bambini con sindrome di Menkes.

«Il 16 agosto è arrivata la diagnosi di questa malattia che non ha cura – aggiunge Natalia –, a meno che la si riconosca nella fase fetale, ma funziona in 9 casi su 10». Mattia non parlava, non reggeva la testa, sentiva tutto e sorrideva. Sabato sera è volato via: i suoi genitori hanno deciso così: «Potevamo intubarlo o decidere di lasciarlo andare: penso sia stata la scelta migliore per lui, per non farlo soffrire oltre. Almeno la sua morte doveva essere dignitosa».

I Milesi si stavano recando all’ospedale di Chiari per un semplice prelievo del sangue, «ma a 100 metri Mattia ha avuto un arresto respiratorio: siamo andati in pronto soccorso – racconta la mamma –, ce l’hanno ripreso e hanno preso contatto con la rianimazione dei Civili di Brescia che l’avevano in cura. Qui hanno determinato che il suo era un arresto respiratorio dovuto al cervello». I danni più gravi determinati dal deficit di trasporto del rame si riscontrano infatti, per questi malati, a livello cerebrale. «È come se il suo contapassi si fosse esaurito», è l’efficace metafora usata da Natalia.

Intorno a Mattia, nelle sue ultime ore, c’erano la mamma, il papà Marco, i nonni Osvaldo, Tiziana, Carlo e Maria «che hanno dato la vita per lui, alternandosi mentre io e mio marito eravamo al lavoro», una zia «e fuori anche alcuni nostri amici, tutti consapevoli che lo stavano accompagnando verso i suoi ultimi attimi» spiega ancora Natalia che tra una visita e l’altra di amici e conoscenti – venuti a pregare e stringersi intorno alla sua famiglia prima del funerale che sarà celebrato oggi alle 10 – aggiunge: «Ho sempre lavorato, facevo la commessa in un negozio di articoli per bambini. Ora sono a casa perché sono incinta di cinque mesi. È una bambina, la chiameremo Chiara. Ho la consapevolezza assoluta che sia un regalo di Mattia». Troppe coincidenze, dice lei: «Il 27 agosto ho avuto la conferma di essere incinta e il 9 settembre Mattia ha avuto la prima crisi respiratoria. Venerdì mi hanno chiamato per l’esito degli esami prenatali, dicendomi che la bimba è sana e sabato lui è morto. È un suo regalo, ne sono certa». Erano le 23,30. Il piccolo angelo è volato a Casa.

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